venerdì 19 Luglio 2024

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ma i suoi servitori sì

Tra la Puglia e la Basilicata ci sono 1.500 persone che rischiano un posto di lavoro. Mentre sul conto corrente di una suora ultrasettantenne, dopo un passaggio da un deposito dello Ior, ci sono 27 milioni di euro che, sospetta ora la magistratura, probabilmente non dovevano essere lì. Ma sarebbero dovuti servire per salvare i lavoratori e le loro famiglie. La storia è quella della Casa Divina Provvidenza, un gigante della sanità convenzionata da queste parti con strutture a Foggia, Bisceglie e Potenza. Dopo anni di crisi, di casse integrazioni e ammortizzatori sociali vari finanziati dallo Stato, nonostante i milioni di euro che ogni anno arrivavano da Puglia e Basilicata per l’attività assistenziale svolta, la Cdp non ha potuto fare altro che certificare un buco di bilancio da mezzo miliardo di euro e portare i libri in tribunale. L’amministrazione ha chiesto di accedere a un concordato preventivo per salvare a un concordato preventivo per salvare continuità aziendale e posti di lavoro. Ma la questione, dalla giustizia fallimentare, ora si è spostata anche a quella penale.
Analizzando la richiesta del nuovo management dell’ente (il nuovo di Bari, indagato nell’inchiesta del porto di Molfetta), i giudici fallimentari hanno scoperto conti strani, con un’azienda che intascava tanto e spendeva tantissimo. Da qui la decisione di inviare la documentazione alla procura di Trani. Il procuratore Carlo Maria Capristo, l’aggiunto Francesco Giannella e il pm Silvia Curione cominciano gli accertamenti e si imbattono in una serie di strane transazioni: maxi parcelle ad alcuni professionisti (450mila euro, i due legali sono ora indagati insieme con la madre generale, suor Marcella Cesa) e soprattutto uscite mal documentate. Seguendo il denaro, si arriva così a un conto corrente dello Ior sul quale questi soldi transitano per poi rientrare, in parte con lo scudo fiscale, di nuovo in Italia. Non però sui conti correnti della Casa divina Provvidenza ma su quelli di un altro ente, Casa di Procura, amministrato da una suora settantenne, Assunta Puzzello.
I magistrati chiedono e ottengono il sequestro di quei 27 milioni, nonostante i legali della suora sostengano che la Casa di Procura non sia un ente fittizio e quei soldi non siano il frutto di una struttura finanziaria parallela che serviva a nascondere i soldi dai creditori come invece sospetta la procura. “Quel denaro – insiste la religiosa – arriva dagli accantonamenti dell’attività sanitaria-assistenziale svolta dalle suore”. Sono vecchie pensioni e contributi mai pagati, dice. I magistrati però non ne sono affatto convinti. Tanto che si apprestano a chiedere una rogatoria alla Città del vaticano per capire qualcosa in più su quel conto Ior.
Forti anche di una vecchia lettera, appena acquisita agli atti dell’inchiesta, nella quale l’allora vice presidente dell’ente, il commendatore Lorenzo Leone (deceduto negli anni scorsi), scrive al Vaticano parlando di una situazione di benessere della struttura e di una dote di 60 miliardi delle vecchie lire nella disponibilità delle Ancelle della Divina Provvidenza (l’equivalente dei 27 milioni di euro sequestrati ora). Siamo negli anni ’90, poco prima delle richieste di aiuto alle casse pubbliche da parte della Casa che intascava comunque milioni di euro dalla sanità pubblica pugliese e lucana per il lavoro svolto. Leone non è uno qualsiasi in Vaticano: vicinissimo a padre Donato De Bonis, braccio destro di Marcinkus, ha disponibilità su una serie di conti correnti nelle banche del Vaticano. Compreso uno dalla denominazione “Suore Ancelle della Divina Provvidenza-Bisceglie”.
In attesa di sciogliere alcuni di questi nodi, la Procura si è opposta al concordato preventivo dell’ente, chiedendone il fallimento. L’udienza decisiva si terrà il 5

 

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