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Già pronta la scusa per la prossima invasione

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Se lasciamo loro l’Ucraìna potrà essere la prossima

(Comrat e Avdarma, Gagauzia) Georgij indica il plastico dello stadio con decisione: “Erdogan è arrivato qui, in elicottero!”. Era il 18 ottobre 2018. Quel giorno, Comrat sarà parsa per lui e il resto degli abitanti del capoluogo della regione moldava della Gagauzia il centro del mondo: giungeva in visita il capo di Stato più in vista del mondo turanico, alla cui eredità gli abitanti della piccola e remota regione moldava fanno riferimento. Georgij, curatore del Museo Regionale di cultura della Gagauzia di Comrat, lo sottolinea: “la Turchia è nostra amica”. Ankara “ha finanziato due centri di formazione superiore per i ragazzi e un polo universitario” in una cittadina di poco più di ventimila anime e “qui i ragazzi imparano il turco e possono andare a studiare in università fuori dalla Moldavia”. Oltre al panem, i circenses: “non c’era bisogno di edificare un nuovo stadio, ma la Turchia ha insistito”, sottolinea Georgij.
L’uomo, sulla settantina, si illumina il volto parlando della sua terra e delle tradizioni che la riguardano. Ci tiene a sottolinearlo: “siamo di etnia turca, ma fieramente cristiani”. Per Comrat abbondano icone e riferimenti ortodossi. Il cuore della città è la Chiesa di San Giovanni Battista, sfavillante nella lucentezza delle sue cupole. Il giallo delle sue pareti si staglia nel cielo azzurro di Comrat. E nella caleidoscopica essenza di un popolo antico tra storia, passato, presente si snoda la complessa parabola della Gagauzia. Terra in cui l’etnia locale è differente da quella moldava rumenofona e parla in larga parte turco e russo; regione plasmata dai tempi della dominazione russa alla fede ortodossa; area di Moldavia che è altro dal governo di Chisinau pur non delegittimandone la sovranità; remota roccaforte pro-Mosca nel Paese in cui si rimpiange l’era dell’Unione Sovietica, con tutte le sue contraddizioni.

“Ai tempi dell’Urss l’elettricità costava mensilmente l’equivalente di venti bani, un chilo di pane quaranta, uno di agnello settanta”, ci dice ricordando i sussidi che consentivano ai gagauzi di vivere con un rublo alla settimana. Ricordiamo che il bani è la frazione del leu moldavo: cento bani equivalgono a un leu, circa venti lei a un euro. Questo per dare un’idea.
Un modo che Chisinau adotta per redistribuire reddito e modesto benessere è quello di spingere la popolazione locale ad arruolarsi nelle Forze armate moldave. “Per l’onore! Per la Patria! per il Tricolore!”, recita un pannello promozionale su Strada Lenin, la via centrale di Comrat. L’arruolamento mirato di giovani gagauzi non ha il solo scopo di garantire stipendi sicuri e a tempo indeterminato per il sostegno economico indiretto della povera regione autonoma, ma anche e soprattutto quello di stimolare l’apprendimento della limba de Stat (moldavo/romeno), l’idioma nazionale poco conosciuto tra la comunità turcica. Una forma di tenue ma dirimente moldavizzazione.
I forti legami della comunità gagauza con la Russia, consolidatisi ai tempi della vittoriosa imperatrice Caterina II e del generalissimo Aleksandr Suvorov, costituiscono una spina nel fianco per le autorità moldave e le forze politiche più occidentaliste. Se i legami di Comrat con Ankara sono ottimi, quelli con Mosca sono eccellenti. Di più: i legami culturali e religiosi (ortodossia) prevalgono sulle affinità etnico-linguistiche. Messi alle strette, i gagauzi sceglierebbero sempre di stare dalla parte di Mosca. Proprio l’impero zarista favorì il loro insediamento in questa porzione di terra bessarabica, anche promuovendo il ritorno di gagauzi fatti insediare forzatamente dall’Impero Ottomano nei Balcani occidentali. La storia e il presente della Gagauzia non può prescindere dalle politiche assertive della Russia. In futuro chi sa.
Indicativo resta il fatto che su nessun palazzo istituzionale dell’Ente territoriale autonomo sventoli la bandiera blu-stellata dell’Unione Europea, bensì solo il tricolore moldavo e il vessillo della nazione gagauza. Una vera cesura politica rispetto all’orientamento internazionale impartito dalla capitale. Georgij ci mostra fiero la bandiera della Gagauzia: tre bande orizzontali con i colori tipici dei paesi slavi (blu, bianco, rosso) con l’aggiunta di tre stelle gialle a rappresentare le tre separate enclave che costituiscono la regione autonoma: Comrat (Komrat in gagauzo), Ceadîr-Lunga (Çadır-Lunga), and Vulcănești (Valkaneş). Ma anche per marchiare il passato, il presente e il futuro della piccola nazione senza Stato.

La Gagauzia è carente di infrastrutture, sebbene sia piuttosto avanti nella diffusione territoriale della tecnologia 5G. Nella municipalità di Vulcănești è inoltre presente una sottostazione elettrica che rifornisce anche il libero porto internazionale di Giurgiulesti.
Nel piccolo borgo di Avdarma, venticinque chilometri a est di Comrat, tremilacinquecento abitanti di cui solo quarantadue moldavi rumenofoni, un monumento davanti alla Chiesa di San Michele ricorda coloro che fermarono l’iconoclastia sovietica e la distruzione dell’edificio; a Comrat, invece, davanti al palazzo del governo regionale una grande statua di Vladimir Lenin guarda la strada principale della città, rimasta intitolata a suo nome. Da uno scorcio si può vedere, metaforicamente, il padre dell’Urss fissare con lo sguardo pensoso le cupole dorate di San Giovanni Battista.
Non c’è metafora migliore per descrivere la Gagauzia. In cui la povertà è endemica senza mai degenerare in miseria e il tempo sembra essersi fermato. Nelle strade di Comrat venditrici ambulanti aspettano ore che qualche passante acquisti i loro sacchi di cipolle e patate. Si dice che Igor Dodon, l’ex presidente filorusso, usasse come sistema clientelare nella regione la distribuzione di tali sacchi per scopi elettorali. Ma la Gagauzia non è la Transnistria secessionista: oltre il Nistru la divisione è politica in un contesto in cui la popolazione è divisa tra russi, ucraini e moldavi, la Gagauzia invece è un’enclave tripartita in altrettante piccole regioni in cui la maggioranza della popolazione è altro rispetto al ceppo dominante nel Paese. I gagauzi chiamano la loro regione come “la terra del sole” e secondo le leggende si definiscono “figli del lupo”.
Questo è un richiamo chiaro alla profondità dell’etnia turca, alle stirpi partite dalle steppe asiatiche per colonizzare l’Eurasia. “I nostri antenati provenivano dalla profondità dell’Asia, dalla terra dei lupi vicino al Lago Bajkal per la precisione”, dice orgoglioso Grigorij. “Poi nel corso dei secoli si sono gradualmente spostati fino ad arrivare qui”, aggiunge Grigorij, “mescolandosi con altre popolazioni ma mantenendo la loro identità di figli di Turan. Non è la religione che fa la differenza: nella terra del Sole possiamo non sapere dove il Sole sorge?”, ci dice vicino alla commozione, “si è turchi al di là dell’Islam. E noi siamo orgolgiosamente cristiani”. Il Sole è l’oriente, il lupo richiama invece Ergenekon, la mitica valle da cui secondo la leggenda sarebbero provenuti i figli di Turan. E che sarebbe proprio “la valle dei lupi”. Come il racconto del Diluvio era comune ai popoli turchi, si è ricordato qui su Inside Over, Ergenekon sarebbe “una valle edenica, situata in un luogo sperduto tra il Turkestan e la Mongolia, nella quale avrebbero trovato rifugio i progenitori della nazione turca, ovverosia gli antenati dei cosiddetti turchi celesti (göktürk), i fondatori del primo khaganato”.

Nell’attuale Moldavia, a pochi chilometri dai caldi confini ucraini e non distanti dal limes atlantico della Romania, rivive sul fronte politico la linea di faglia tra mondo turco e mondo russo a lungo conteso nella “guerra infinita” che divise la Sublime Porta e San Pietroburgo dal XVII secolo dalla Grande Guerra e che oggi diviene tentativo di concorrenza per il controllo del cuore e delle menti dei Gagauzi. Irina Vlah, la governatrice locale, è autonomista e filorussa; nella Chiesa di San Giovanni Battista la comunione collettiva avviene seguendo i più tradizionali schemi della ritualità ortodossa orientale; nella Gagauzia rurale l’alfabeto predominante è il cirillico e solo a Comrat c’è spazio per un intermittente bilinguismo. Ma per Comrat si respira a più riprese un intenso odore di spezie turche e di kebab, i giardini dai toni orientali richiamano all’antico influsso ottomano e la rivendicazione etnica del popolo locale è chiara.
La başkan (capo/governatore) Irina Vlah, alla cui figura è dedicato un angolo del museo etnico di Comrat, è molto cristallina nella volontà di conservare e rivitalizzare le peculiarità della piccola nazione turcica. La legge regionale che introduce la lingua romena come materia di studio nelle scuole non è finalizzata ad agevolare l’assimilazione della comunità gagauza all’interno della nazione moldava, bensì a formare figure politiche e amministrative in grado di far meglio sentire la voce locale nella capitale della Repubblica Moldova. Conoscere la limba de Stat è fattore indispensabile per accedere al parlamento monocamerale della Repubblica in veste di deputato. Attualmente le istanze gagauze sono presentate da parlamentari moldavi, in larga misura socialisti filorussi come l’ex presidente Igor Dodon. Curiosamente, l’etimo significante del suo cognome “valacco”, ma Irina Vlah è una fiera gagauza che spera in una nuova generazione di connazionali in grado di prendere in mano il proprio destino, senza che sia demandato ad altri. Mantenere cordiali rapporti con russi, turchi e moldavi è solo il giusto approccio per valorizzare il carattere pacifico e rurale dell’orgogliosa minoranza gagauza.
Parliamo di un crogiolo etnico, sociale e culturale che porta con sé una grande complessità politica. Chi sembra distante, qui, è la Moldavia legittima titolare della sovranità di queste terre.

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