giovedì 18 Luglio 2024

Giustizia italiana

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L’assassinio di Alberto e i processi

Quel 10 gennaio 1979 i camerati erano a Centocelle in una commemorazione forte dell’eccidio di Acca Larentia l’anno precedente. D’improvviso un agente di Pubblica Sicurezza, Alessio Speranza, sparò ad altezza d’uomo e centrò Alberto Giaquinto alla nuca.
Dal primo istante cercarono di giustificare l’assassinio attestando che Alberto fosse armato e avesse puntato l’arma contro le forze dell’ordine. Il corpo agonizzante fu perquisito. Ma non finì lì: si recarono a casa dei genitori e, invece di mantenere un comportamento dignitoso e solenne, si diedero a una perquisizione capillare, squarciando divani e materassi per trovare delle armi che non c’erano.

Il padre di Alberto, Teodoro, non si diede mai per vinto e dopo una battaglia improba riuscì a far processare lo Speranza che venne condannato a…. sei mesi con la condizionale per “eccesso di legittima difesa”!

Un’altra storia s’interseca con questa ed è quella di Massimo Morsello che quel 10 gennaio a Centocelle c’era e volle testimoniare, incurante delle pressioni e delle minacce che ricevette dalle autorità.
Imputato per gli scontri egli pure fu condannato a…. dieci anni di carcere per “incendio e devastazione”.

Questa era la giustizia in Italia.
Tenuto conto della sentenza di ieri a Bologna nei confronti di Cavallini ci è difficile credere che sia mutata.

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