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Giusto quello che mancava

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Il governo di occupazione si appresta a sotterrare anche Telecom

La rete di Telecom Italia deve essere ceduta alla Cassa Depositi e Prestiti a un prezzo che la Cassa individuerebbe in 8 miliardi di euro e Bernabè intorno ai 13 miliardi di euro.
A volerlo sono gli azionisti – Intesa San Paolo, Mediobanca, Generali – che hanno disperatamente bisogno di rientrare da un investimento che ritengono pessimo.
In questo modo la CDP, che già controlla la rete del gas della SNAM e la rete elettrica di Terna (ex Enel) diventerebbe una sorta di IRI delle reti del terzo millennio.
Allo stesso tempo il governo darebbe così respiro a Mediobanca e a Intesa: in pratica ricapitalizzerebbe con i soldi del risparmio postale, gestito dalla CDP, le più grandi istituzioni bancarie del Paese, e ciò avverrebbe senza incappare nel no delle autorità europee di Bruxelles, contrarie a un maggiore debito pubblico e agli aiuti di Stato alle imprese private.
Una volta che gli azionisti di Telecom Italia avranno avuto ciò che ritengono il giusto, il destino di ciò che a quel punto resterebbe dell’azienda non interessa per niente.
Oggi il debito di Telecom è garantito dalla rete ma, se questa viene meno, le grandi agenzie di rating che già hanno declassato Telecom a un livello appena superiore a quello dei junkbond, cioè a poca distanza dai titoli spazzatura, dichiarerebbero l’azienda tecnicamente fallita, al di là del fatto che i suoi manager portino o meno i libri contabili in tribunale o chiedano la Prodi bis.
Accadrebbe insomma di nuovo quello che è successo a Seat, che è stata “la regina della Borsa italiana” fino al 2000 per poi essere distrutta dall’indebitamento e ora è tanto boccheggiante da essere arrivata sull’orlo del default nelle scorse settimane.
Il giorno successivo allo scorporo Telecom Italia diverebbe quindi una “balena spiaggiata” con 20.000 dipendenti di troppo: la pallida ombra di quello che fu.
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