sabato 20 Luglio 2024

I cinesi menerebbero la Cia per il naso

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Ma sa tanto di disinformazione americana creata a bella posta come cortina fumogena

Due indizi non faranno una prova, ma in certi casi è difficile pensare che possano essere soltanto una coincidenza. Lo stato di salute dell’intelligence americana non è mai apparso così precario, almeno per quanto riguarda la Cina e gli affari legati a Pechino. Il preludio alla debacle, che sarebbe arrivata in modo ancora più evidente di lì a qualche anno, risale al 2017. Emblematico il titolo di un articolo del New York Times, oggi più attuale che mai: “Uccidere informatori della Cia. La Cina ha paralizzato le operazioni di spionaggio americane”.
Alla fine del 2019, in concomitanza con la diffusione mondiale del Sars-CoV-2, è invece risuonato il primo campanello d’allarme. Nel dicembre dello stesso anno, quando a Wuhan, nella provincia cinese dello Hubei, emergevano indiscrezioni su una stranissima epidemia, pare che gli Stati Uniti fossero già a conoscenza di quella misteriosa polmonite. Sia chiaro: nessuno poteva prevedere la reale pericolosità dell’agente patogeno – poiché, secondo quanto riferito da vari media, le informazioni pervenute alla Cia erano approssimative – ma fin dall’autunno Washington sarebbe stata avvisata da un informatore cinese, una fonte apparentemente fidata che per lavoro avrebbe avuto accesso al laboratorio di Wuhan.
Nel momento in cui il virus ha sfondato i confini cinesi e travolto il mondo intero, Donald Trump non sembrava preoccupato. L’allora presidente americano continuava a ripetere che quel virus era una sorta di influenza. Una pista, quella dell’influenza (altro che virus in grado di mettere in ginocchio il pianeta), seguita dall’intelligence americana fin dall’ottobre 2019. Nessuno dubitava delle informazioni ottenute, visto che quelle indiscrezioni provenivano niente meno che da una fonte arruolata nelle università scientifiche di Wuhan. E invece, quelle stesse fonti cinesi su cui contavano gli Stati Uniti sono riuscite a mettere fuori strada la Cia. Il citato informatore sparisce nel nulla nell’ottobre 2019, forse ucciso o forse “comprato” da Pechino. Le news che l’uomo forniva a Washington erano filtrate dal governo cinese per mettere fuori gioco gli Stati Uniti? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, sempre nel mese di ottobre, il controspionaggio del Dragone “divora” gli ultimi informatori della Cia a Wuhan. Buio totale tra i corridoi della Casa Bianca.

Intelligence Usa al tappeto
Foreign Policy ha sintetizzato quanto accaduto scrivendo che “il coronavirus è il peggior fallimento dell’intelligence nella storia americana”. In effetti, la diffusione mondiale del Covid-19 evidenzia come gli 007 Usa siano stati surclassati dai colleghi cinesi. Il declino delle spie di Washington coincide con la salita al potere di Xi Jinping, avvenuta nel 2013. L’attuale presidente cinese ha letteralmente smantellato, pezzo dopo pezzo, la rete clandestina attiva oltre la Muraglia e collegata agli Stati Uniti.
“Il governo cinese ha sistematicamente smantellato le operazioni di spionaggio della Cia nel Paese a partire dal 2010 e, nei due anni successivi, ha ucciso o imprigionato più di una dozzina di fonti Usa, paralizzando la raccolta di informazioni americana”, scriveva tre anni fa il NYT. A quanto pare, il controspionaggio cinese è riuscito a distruggere anche gli ultimi residui della ben oliata rete americana, la stessa che in passato era quasi sempre riuscita a centrare l’obiettivo.
Non si spiegherebbe, altrimenti, il fallimento della promessa di Joe Biden. Lo scorso maggio, il presidente americano aveva ordinato ai funzionari dell’intelligence di raddoppiare gli sforzi per indagare sulla diffusione della pandemia di Covid-19. Nell’arco di 90 giorni, l’amministrazione Usa avrebbe dovuto mettere le mani su documenti riservati capaci di chiarire i contorni di una vicenda ancora avvolta nel mistero. Ebbene, la missione è fallita in malo modo. Il report prodotto dalle agenzie di intelligence è stato un buco nell’acqua. Il motivo? Da ricercare in Cina, precisamente nel ruolo svolto dal controspionaggio di Xi.

Cia fuori gioco
Biden ha inserito la Cina in cima all’agenda estera degli Stati Uniti, ma l’assidua mancanza di informazioni di alto livello sulla cerchia ristretta di Xi Jinping starebbe frustrando i funzionari della Casa Bianca. Impossibile anticipare le mosse di Pechino continuando a brancolare nel buio, ripetono gli 007 Usa. Secondo quanto rivelato da alcune fonti interrogate da Bloomberg, la Cina sta diventando un obiettivo sempre più difficile da decifrare. E tutto questo sta accadendo proprio mentre la richiesta di approfondimenti su Pechino e sulle decisioni del Partito Comunista Cinese è alle stelle, complice la Guerra Fredda in atto tra Stati Uniti e Cina.
Non a caso, sia i funzionari di Trump che di Biden si sono detti sorpresi delle rapide mosse con le quali il governo cinese è stato in grado di consolidare il controllo di Hong Kong, proiettare il potere militare attraverso il Mar Cinese Meridionale, limitare le indiscrezioni sulle origini del Covid-19 e, al tempo stesso, aumentare l’hacking contro gli avversari. Gli sforzi di Xi per cambiare la politica interna cinese e consolidare il suo controllo hanno messo a dura prova l’intelligence americana. Il passaggio da un sistema di leadership “collettivo”, visibile sotto gli ex presidenti Jiang Zemin e Hu Jintao, a uno dominato da Xi significa che la Cia è stata costretta a cambiare paradigma, passando dal concentrarsi su circoli interni di sette o addirittura nove leader a, effettivamente, solo uno. Il problema è che questo “uno” risulta impenetrabile e imperscrutabile. In un quadro del genere, gli 007 americani non sono più artefici del loro destino.

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