sabato 14 Giugno 2025

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La materia oscura è uno degli aspetti più essenziali, e al contempo sfuggenti, degli attuali modelli cosmologici. Senza, è impossibile spiegare le galassie, gli ammassi che formano e i loro movimenti. Ma al contempo, nessuno l’ha mai vista, o ha idea di cosa sia realmente, come si sia formata o di come potremmo studiarla. Un problema non da poco, visto che dovrebbe costituire l’85% della massa dell’Universo.
Gli astrofisici, comprensibilmente, le stanno provando tutte per cercare di confermarne l’esistenza, scandagliando i cieli in cerca di effetti gravitazionali inspiegabili che dimostrerebbero la presenza di enormi ammassi di materia completamente invisibili. E nel frattempo, ai cosmologi è affidata la missione di spiegarne la natura, e come si sia formata nell’Universo primordiale. Un’ipotesi recente è quella formulata da due fisici del Dartmouth college in un articolo pubblicato negli scorsi giorni sulla rivista Phisical Review Letters. Un modello che vede la materia oscura come il precipitato di antichissime particelle simili a fotoni: luce cristallizzata – o qualcosa di simile – che ha scambiato un’enorme energia per una altrettanto enorme massa, e la cui esistenza potrebbe essere dimostrata già oggi, cercandone la firma nella radiazione cosmica di fondo.

Perché l’astrofisica crede che esista la materia oscura?

Un Universo ad alta energia
Si pensa che il nostro Universo sia nato circa 13,7 miliardi di anni fa, quando tutta la materia che lo compone, inizialmente concentrata in un unico punto di massa pressoché infinita, ha iniziato ad espandersi velocemente in quella gigantesca esplosione cosmica che abbiamo battezzato Big Bang. All’inizio, questo universo in formazione era dominato da particelle prive di massa ed estremamente energetiche, che si muovevano a velocità elevatissima. Nei milioni di anni seguenti le particelle formatesi in seguito al Big Bang persero potenza, interagirono tra loro formando gli atomi, e crearono poi agglomerati sulla spinta della forza di gravità, formando col tempo le stelle, i pianeti, e tutta la materia che vediamo oggi nell’Universo. Ma non solo: oltre alla materia visibile – se hanno ragione i cosmologi – si formò anche quella invisibile che costituisce la maggior parte della massa del cosmo: la materia oscura, fredda e incapace di interagire con le onde elettromagnetiche.
“La materia ha iniziato la sua esistenza come particelle relativistiche praticamente prive di massa, simili alla luce. Si tratta di qualcosa di completamente antitetico rispetto a quello che si pensa essere la materia oscura, cioè dei freddi grumi di materia che danno alle galassie la loro massa”, spiega l’astronomo Robert Caldwell, uno dei due autori della nuova ipotesi. “La nostra teoria cerca di spiegare proprio questo: come la materia è passata dall’essere qualcosa di simile alla luce, all’essere qualcosa di simile a un grumo”.

Il nuovo modello
L’ipotesi di Caldwell e del coautore dell’articolo, il giovane ricercatore Guanming Liang, prende il via da un modello della teoria quantistica dei campi noto come modello di Nambu – Jona-Lasinio (dal nome dei suoi autori, il premio Nobel giapponese Yōichirō Nambu e il grande fisico italiano Giovanni Jona-Lasinio). Entrare nei dettagli della teoria sarebbe inutilmente complicato. Quel che c’è da sapere è che questo modello descrive le interazioni tra particelle conosciute come fermioni Dirac, e prevede la formazione di coppie di particelle che possono essere utilizzate per spiegare la formazione di massa nell’Universo. In passato – spiegano i due fisici nel loro articolo – si è provato ad usare il modello di Nambu – Jona-Lasinio per creare modelli cosmologici che descrivono l’inflazione cosmica, la materia e l’energia oscura, ma senza troppo successo. A detta dei due, però, questi tentativi partivano da un presupposto scorretto: che la temperatura delle coppie di fermioni rimanesse sostanzialmente la stessa delle altre particelle previste dal modello standard.
Nelle loro equazioni viene invece presa in considerazione l’evoluzione della temperatura delle coppie di fermioni in seguito al loro accoppiamento. E in questo modo, emerge una possibile spiegazione per la formazione della materia oscura: l’elevata energia dei fermioni Dirac sotto una certa soglia di temperatura precipita, convertendosi in massa e “congelandoli” in una nuova forma.
“A quel punto, è come se le coppie si stessero preparando per diventare materia oscura – sottolinea Caldwell – questa transizione di fase aiuta a spiegare l’abbondanza della materia oscura che osserviamo oggi: deriva da quella massa estremamente densa di particelle ultra energetiche che costituiva l’Universo primordiale”.

Un modello testabile
Ci sono diversi aspetti che rendono interessante il lavoro dei due fisici. Innanzitutto, è un modello relativamente semplice che permetterebbe di spiegare molti dei fenomeni ancora misteriosi della cosmologia. A detta dei suoi due autori, è anche un modello solido, perché il fenomeno su cui si basa, l’accoppiamento dei due fermioni Dirac, è simile a quanto avviene tra fotoni nei superconduttori, le cosiddette coppie di Cooper, e non richiede quindi di postulare nuovi ed esotici fenomeni fisici. E permette inoltre di spiegare un altro mistero del nostro Universo: dove sia andata a finire tutta l’energia che lo permeava nei suoi momenti iniziali.
“Le strutture ottengono la loro massa per effetto della densità della fredda materia oscura, ma deve esistere anche un meccanismo per cui la densità di energia crolla a livelli simili a quelli che vediamo oggi”, conclude Liang. “Il modello matematico della nostra teoria è molto bello perché è piuttosto semplice, non devi costruire molte cose nel sistema per farlo funzionare. Si basa su concetti e una cronologia degli eventi che sappiamo esistere già”.
Un altro aspetto importante del modello è che a differenza di molti altri proposti in questi anni, è anche facile da mettere alla prova con gli strumenti oggi disponibili. La trasformazione prevista delle coppie di fermioni Dirac dovrebbe infatti lasciare una traccia distintiva nella radiazione cosmica di fondo, quel “mare” di microonde che permea l’Universo come residuo del Big Bang. I dati raccolti da progetti come il Simons Observatory nel deserto di Atacama e quelli che arriveranno da programmi come il Cmb-s4, in fase di realizzazione in Cile e al Polo Sud, potrebbero presto dare una conferma delle previsioni dei due fisici del Dartmouth college. O magari smentirle, che comunque è già qualcosa in un campo di studio che spesso ha difficoltà a mettere alla prova le proprie teorie.

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