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I vaccini a un passo dal flop

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Medici e virologi sembrano in alto mare

I tagli e i ritardi nelle consegne annunciati prima da Pfizer e ieri AstraZeneca “richiederanno una rimodulazione della campagna vaccinale”, dice il professor Franco Locatelli. Il piano dovrà essere rivisto. Il “come” – sottolinea il presidente del Consiglio Superiore di Sanità – dipenderà innanzitutto dal responso dell’Ema sul vaccino di AstraZeneca, che avrebbe dovuto essere uno dei punti di forza della campagna di immunizzazione e rischia di diventarne anello debole. E dunque prima del 29 gennaio, il giorno del responso dell’Agenzia regolatoria europea sul farmaco della multinazionale britannica, non si potrà decidere nulla. Ma “non ci arriveremo impreparati. Si stanno già disegnando scenari ipotetici che verranno adottati o scartati in funzione di quella che sarà l’autorizzazione. La priorità resterà quella di tutelare i più fragili, le persone che rischiano di più”, avverte Locatelli. E non scarta l’ipotesi di prendere in considerazione, previa approvazione dell’Ema e pubblicazione degli studi clinici di fase 3, il vaccino russo, lo Sputnik V.

Professor Locatelli, le conseguenze che potrebbero derivare dai ritardi nelle consegne dei vaccini annunciati da Pfizer e AstraZeneca devono preoccuparci? Lei è preoccupato?
Dipende innanzitutto da quanta continuità nel tempo avrà la situazione comunicata da Pfizer. Se davvero la riduzione del 29% annunciata per la settimana appena conclusa e del 20% per quella che va a cominciare, non avrà ulteriori seguiti e i ritardi saranno ricompensati, il danno sarà limitato. Qualche disagio c’è già stato, penso alla Regione Lazio che avrebbe voluto iniziare a vaccinare gli ultra80enni e ha dovuto rinviare, ma se il ritardo non si protrarrà oltre i termini indicati dalla casa farmaceutica la situazione sarà recuperabile. Altrimenti diventerà impegnativa

È arrivata la “doccia fredda” da AstraZeneca.
Per quel che riguarda la situazione che potrebbe determinarsi sulla base dei ritardi e delle riduzioni comunicate da AstraZeneca molto dipenderà dal pronunciamento di Ema il 29 gennaio, cioè se darà l’approvazione.

C’è il rischio che Ema non autorizzi il vaccino di AstraZeneca?
Ritengo l’approvazione più che probabile, ma le Agenzie regolatorie vanno rispettate nella loro facoltà di dire “no” se non sono convinte. Ad ogni modo, dando per scontata l’autorizzazione per il farmaco di AstraZeneca, lo scenario che verrà a delinearsi dipenderà dalla tipologia di approvazione.

Che significa?
Dipende dalle fasce d’età per cui il vaccino sarà autorizzato. Dai 18 anni in su per tutti è un conto, dai 18 ai 65 anni è un altro. Ancora, il farmaco potrebbe essere approvato per essere somministrato dai 18 anni in su, ma con la nota di cautela che sopra i 65 anni non ci sono dati sufficientemente solidi per raccomandarlo. E poi c’è un altro dato.

Quale?
AstraZeneca ha annunciato anche tagli al carico di dosi concertato con il nostro Paese, per cui, nel primo trimestre, passeremo da un quantitativo di poco superiore a 8 milioni a uno di circa 3 milioni e mezzo di dosi. Tale riduzione e la tipologia di approvazione avranno un impatto sul dimensionamento e la strutturazione del piano vaccinale, che potrebbe dover essere rimodulato.

A suo avviso come dovrà essere rivisto il piano?
È difficile dare indicazioni solide adesso. Quello che però posso dire, certo con questo di rappresentare il pensiero di tutti coloro che sono impegnati nella campagna vaccinale, è che la priorità iniziale verrà rispettata. Dunque si andrà avanti a vaccinare operatori sanitari, ospiti delle Rsa e ultra80enni. Come si procederà dopo dipenderà, come dicevamo, dal tipo di autorizzazione che darà l’Ema. Per fare un esempio: se il vaccino sarà approvato per le persone di età compresa tra i 18 e i 65 anni, sarà impensabile procedere con gli ultra65enni.

Fino al 29 gennaio, dunque, non si potrà decidere nulla.
Non arriveremo al 29 gennaio impreparati. Si stanno già disegnando al tavolo ministeriale e della struttura commissariale scenari ipotetici che verranno adottati o scartati in funzione di quella che sarà l’autorizzazione dell’Ema. La scelta resta condizionata al pronunciamento dell’Agenzia regolatoria. La priorità resterà quella di tutelare i più fragili, le persone che rischiano di più.

Per far fronte ai tagli e alle riduzioni imposti, ritiene si possa prendere in considerazione il vaccino russo Sputnik V?
Su questo, personalmente, ho una posizione laica. La discriminante è l’approvazione delle Agenzie regolatorie. È tale la fiducia in Ema che se dovesse dire che il vaccino russo risponde a standard di efficacia e profili sicurezza convincenti, non vedo ragioni per avere preclusioni. Basandoci sul giudizio delle Agenzie regolatorie, appartenendo noi all’Ue e avendo rappresentanti italiani in Ema, non vedo motivi per non prendere in considerazione il vaccino russo. Ovviamente, sarà importante anche valutare i risultati dello studio di fase 3 di questo vaccino, non dimenticando le riserve sollevate da alcuni colleghi per i risultati dello studio di fase 2.

Preoccupano le varianti del virus. Lei ha invitato a “fare di più”. Si sta facendo troppo poco come hanno spiegato i professori Ricciardi e Ciccozzi?
Non c’è nessuna evidenza che i due vaccini approvati possano essere associati a meccanismi di resistenza rispetto alle varianti note. Ma il Paese globalmente deve investire di più sul piano del sequenziamento dei ceppi isolati. Si sta facendo poco ed è peccato perché abbiamo laboratori e professionalità capaci di svolgere al meglio questa attività.

Cosa manca allora?
Dovrebbe esserci un programma di ricerca dedicato ai sequenziamenti. Si tratta di un intervento fondamentale.

Il virus continua a correre. Com’è la situazione epidemiologica del Paese?
La circolazione virale è ancora elevata, ma fortunatamente non è sfuggita al controllo. Gli indicatori hanno un’evoluzione in senso favorevole sia come rapporti di tamponi positivi rispetto agli effettivi che come riduzione dell’Rt nazionale e come liberazione di posti letto nei reparti ospedalieri e in quelli di terapia intensiva. Grazie alle misure assunte, in Italia vi è una situazione epidemica significativamente migliore rispetto ad altri Paesi. E questo deve rassicurare.

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