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Il delatore del poggiolo

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Agli ordini del telecomando

I delatori da poggiolo lo avevano capito e lo avevano scritto sulle loro pagine social: con la fine degli arresti domiciliari i giovani si sarebbero riversati per strada, aumentando il rischio di contagio. Che, poi, se hai deciso di trascorrere la tua vita da parassita tra il balcone ed il divano da dove ti lamenti online, come fai a contagiarti?
Ovvio che il parassita sociale non capisca questa voglia di stare insieme dei ragazzi dopo due mesi di reclusione. Lui, il renitente alla vanga che pretende di essere mantenuto, amici non ne ha. Perlomeno di amici reali. Perché essere amici di un delatore è difficile. Fa un po’ schifo, il delatore accidioso eppure iracondo.
Però, per due mesi, ha potuto sentirsi protagonista. Non di qualche grande iniziativa, di qualche opera utile alla società. No, solo complice della repressione più ottusa. Lui, il delatore da poggiolo, si indignava a comando contro chi osava uscire per respirare e prendere il sole. Con lui il telecomando tv funzionava in direzione contraria al solito: i guru televisivi schiacciavano il tasto ed il delatore eseguiva. Poi gli esperti a gettone hanno scoperto che il sole e la natura facevano bene alla salute. Lo avranno imparato dalle loro nonne, sicuramente dotate di maggior buon senso.
A quel punto il parassita sociale si è sentito tradito. Non poteva più inveire contro i bambini a passeggio. Ma ora ha trovato il nuovo nemico: chiunque incontri gli amici per divertirsi. Perché gli altri possono uscire di casa, ma solo per lavorare e mantenere il delatore da poggiolo. Se no scatta l’invidia. Però ora è in buona compagnia. La compagnia di chi si ostina a tener chiusi i confini regionali, impedendo di disperdere la concentrazione urbana. Meglio obbligare tutti a restare in città, per poi stupirsi degli assembramenti.

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