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Il Duce liberato

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Dodici settembre del quarantatre: la riscossa

Sera del 12 settembre 1943 Agenzia Stampa Stefani. “Dal Quartier Generale del Führer: dodici reparti di paracadutisti e di truppe di sicurezza germanici, unitamente a elementi delle SS, hanno oggi condotto a termine una operazione per liberare il Duce, che era tenuto prigioniero dalla cricca di traditori. L’impresa è riuscita. Il Duce si trova in libertà. In tal modo è stata sventata la sua progettata consegna agli Anglo-americani da parte del Governo Badoglio”.

L’IMPRESA

“Mussolini andava liberato subito, non si potava lasciare il paese in mano a quel Badoglio che avrebbe cercato da subito l’armistizio con gli americani ” ripeteva continuamente Hitler nell’Agosto del ’43. Già il 26 luglio, Hitler convocò diversi ufficiali per sceglierne uno cui affidare la delicata e difficile missione. La scelta cadde sul capitano delle “SS” Otto Skorzeny la cui taglia atletica e la cui sicurezza di modi lo impressionavano. Lo “squadrò” con un’occhiata da capo a piedi e gli disse: “Vi affido un incarico di enorme importanza, la liberazione del mio amico Mussolini, che io non voglio e non posso abbandonare nel momento del pericolo”.

Dopo l’8 settembre parte l’operazione
“A quelI’epoca – disse il maggiore Otto Harald Mors – comandavo un gruppo di paracadutisti, nella zona di Frascati; il mio battaglione, faceva parte delle forze che erano alle dipendenze del generale Student. Alle 15 del giorno 11 settembre del 1943, nella tenda del comandante Harald, nel parco del collegio Mondragone, squillò a lungo il telefono. Per ordine del generale dovevo presentarmi al comando. Appena arrivato, Student mi comunicò che all’indomani mattina, alle sette, avrei dovuto recarmi nella zona del Gran Sasso per liberare Mussolini”. “Con due compagnie – mi disse il generale – scendete nella vallata di Assergi, e successivamente, provvedete ad attaccare l’albergo che si trova appollaiato sui dirupi della vetta. Avete assoluta libertà di movimento…” “Tracciati a grandi linee i presupposti dell’operazione, toccava a me curarne i particolari, il tempo a disposizione era poco. Andai all’ufficio informazioni e seppi, fra l’altro, che l’azione era stata battezzata Bruno Meyer. Date le asperità della zona, i rischi erano molti e in particolare per la sua posizione, I’albergo si prestava ad essere difeso da ogni lato come un vero e proprio fortino. Passai la notte ad approntare il reparto. Seppi, in quella circostanza, delI’arrivo a Pratica di Mare di Skorzeny, un ufficiale delle SS, addetto al servizio di sicurezza di Hitler, specialista nel risolvere situazioni ingarbugliate e nel compiere colpi di mano come quello che ci accingevamo a realizzare. Con Skorzeny, erano arrivati anche una trentina di soldati delle Waffen SS che vennero aggregati al mio battaglione. Sapevamo che al Gran Sasso erano state disposte sentinelle con l’ordine di aprire il fuoco contro chiunque avesse tentato di avvicinarsi all’albergo. Il piano che preparai era piuttosto semplice: una compagnia, al comando del tenente Berlepsch, la migliore del reparto, doveva calarsi nei pressi dell’albergo e, con una azione di sorpresa, liberare il Duce. Altre forze dovevano invece impadronirsi della funivia mentre il grosso del battaglione, al mio comando, aveva il compito di occupare la vallata di Assergi e la stazione dalla quale avremmo riportato Mussolini a Roma …”.
Su suggerimento di Skorzeny, per evitare sorprese da parte dei guardiani, fu deciso di aggregare ai paracadutisti un generale della polizia italiana e la scelta cadde sul generale Fernando Soleti.
A Roma poi successe quello che sappiamo. Quando il 10 mattina parve per qualche ora che i tedeschi avessero difficoltà ad occupare Roma, il capo della polizia Senise, rinfrancato, telefonò a Campo Imperatore e avvertì l’lspettore Gueli che, da come si mettevano le cose,  era opportuno considerare ancora valida la vecchia disposizione riguardante il “prigioniero”, caso mai i tedeschi tentassero di liberarlo. Consegnarglielo morto!

12 settembre. A Pratica di Mare alle 13, nonostante un’ora prima ci fosse stato un bombardamento aereo, nove velivoli decollarono alla svelta con agganciati altrettanti alianti, e puntarono verso il Gran Sasso. Nel decollo, due alianti si danneggiarono e dovettero rinunciare all’impresa. L’atterraggio avvenne in maniera drammatica per il terreno accidentato non visto dalla ricognizione. Nel primo aliante, c’erano Skorzeny e il generale Soleti che, appena a terra, si diressero di corsa verso l’albergo. All’interno, fu dato l’allarme e tutti i carabinieri, armi in pugno, si precipitarono fuori mentre il tenente Faiola irruppe nella camera di Mussolini e gridò: “Chiudete la finestra e non muovetevi!”. L’ordine non fu naturalmente eseguito e quando il Duce scorse Soleti e Skorzeny gridò: “Non vedete? C’è un generale italiano. Non sparate!”. I carabinieri non esitarono ad abbassare le armi.
Skorzeny: “Dopo aver intimato a un carabiniere il mani in alto! mi precipitai all’interno dell’edificio dove un soldato stava armeggiando intorno alla radio. Con il calcio della pistola mitragliatrice ruppi l’apparecchio. Imboccate le scale, salii al primo piano e, a caso, spalancai una porta. Era quella della stanza del Duce. Con Mussolini c’erano due ufficiali italiani che il mio aiutante, il tenente Schwerdt, mandò fuori della camera”. Intanto, arrampicatisi lungo il parafulmine, due sottufficiali tedeschi raggiunsero il vano della finestra. Saranno i primi a introdursi nella camera

Ore 14:30 circa, Campo Imperatore: Mors (che ha rimesso in funzione la cabinovia a Fonte Cerreto) è salito a Campo Imperatore.  Carabinieri e paracadutisti, alla meglio con pale, spianarono il terreno per il decollo della cicogna di Gerlach che osservava il poco spazio in cui avrebbe dovuto decollare. Insistette per avere a bordo soltanto il Duce, ma era stabilito che con lo “Storch” sarebbe partito anche Skorzeny . “Sistemare Skorzeny è un problema”. Narra Gerlach: “Era grande e grosso: pesava più di cento chili. Per salire a bordo dovette incastrarsi dietro Mussolini in una posizione molto scomoda”. Un vento impetuoso soffiava verso la valle, rendendo quasi impossibile la manovra. La pista era brevissima. Gerlach diede motore al massimo mentre i soldati trattenevano il velivolo per la coda. A un suo cenno, lo lasciarono. A un tratto, sembrò che l’apparecchio s’infilasse nell’abisso. Corsero tutti sull’orlo della scarpata, convinti di vedere l’aereo precipitare a muso in giù e invece stava come sospeso nell’aria, quasi immobile, con le sue grandi ali e il carrello, simile alle zampe di un’enorme farfalla. Pian piano, a fatica, prese quota e iniziò il volo verso Pratica di Mare.

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