Home Alterview Il fascismo degli altri

Il fascismo degli altri

0


Qualunque esso sia non ha nulla a che vedere con l’originale

Si conclude la solita settimana di passione che inizia il 25 aprile, l’occasione per parecchi per straparlare e gesticolare, quasi mai con decoro.
Quest’anno che per mezzo mondo l’Italia ha un governo “fascista”, ma in ogni caso di matrice missina, il circo è stato più grottesco del consueto.
In una società in crisi demografica, culturale, economica, il fascismo è diventato il metro di misura di tutto: ci si definisce per la maggiore o minore distanza da qualcosa che nessuno sa più definire; il resto non conta.

Abbiamo gli antifascisti militanti: politici, influencers, politici di nicchia, che hanno riesumato la caccia alle streghe e il giustificazionismo degli assassinii: dalle foibe alla strage di Primavalle, da Norma Cossetto a Sergio Ramelli. Per queste bestie il costante fallimento delle loro ridicole utopie è determinato dall’esistenza di fascisti che è giusto siano uccisi a qualsiasi età, anche a nove anni, perché è colpa loro se il paradiso terrestre in cui tutti saranno felici non si realizza.

Poi abbiamo gli exfascisti, afascisti, postfascisti, semiantifascisti. Questi vogliono che li si lasci liberi di fare, invece di inchiodarli a responsabilità che oggettivamente non hanno.
Come accade fin dalla svolta di Fiuggi, hanno deciso di difendere la memoria dei militanti assassinati dagli antifascisti nel dopoguerra, senza osare portarsi più indietro.
In fin dei conti nessuno glielo ha mai chiesto e sbaglia o comunque equivoca chi lo fa. Come, poi, ognuno di loro si esprime in merito, attesta la sua qualità personale e null’altro.

Infine abbiamo i fascisti irriducibili, una specie nata dopo Fiuggi ché prima si pensava a cose un po’ più serie. Questi custodi di non si sa meglio che, in genere hanno scambiato il loro livore da emarginazione sociale con l’immedesimazione nelle caricature del fascismo. Tutti i modelli negativi e brutali, anche quelli che benché democratici, bolscevichi e antifascisti per professione, vengono definiti fascisti dal main stream, sono i loro modelli. Qualsiasi bruttura acida che accompagni il disagio è un preteso fascismo irriducibile.

Tutta questa cagnara non dovrebbe riguardarci minimamente. Il fascismo è uno stile di vita, un archetipo, un seme, un germoglio, una Idea del Mondo.
La fedeltà non è un fatto di etichette e di gesticolazioni, ma una continuità silente nella verticalità. È  fedeltà isolata e silenziosa: non è rivendicazione, è ritualità esistenziale.
Si manifesta sobriamente, con leggerezza pur nella solennità e, quando lo fa così, cioè con naturalezza, incontra puntualmente segni incontrovertibili di sacralità e di eternità.
Questo è quello che conta, il resto è circo, da qualsiasi parte ci si sieda.

Se poi si riesce a cogliere la continuità inconsapevole, palpabile solo se si ha maturato quanto necessario, si possono intravedere i contributi rigenerativi che dall’archetipo continuano a pervenire alle prospettive future, in Europa e non solo. Ma questo è complesso e non di facile lettura. Non si tratta di ottimismo ma di pessimismo entusiastico che si accompagna alla fede, al tragico e alla poetica. Il che si lega indissolubilmente alla maniera giusta di perpetrare il Ri-Cordo e di scansare la cagnara di cui lo vogliono prigioniero. Il nostro sarà sempre e soltanto libero.

Exit mobile version