sabato 20 Luglio 2024

Il Grigiocrate

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Augusto Grandi, Daniele Lazzeri, Andrea Marcigliano Il Grigiocrate. Mario Monti, Fuorionda (www.fuorionda.it) 2012, pp. 175, € 16,00.
Fino a qualche tempo fa questo libro – il cui sottotitolo, quanto mai significativo, è “Nell’era dei mediocri” – sarebbe stato considerato dalla grande maggioranza dei mezzi d’informazione italiani, un  delitto di lesa maestà, o nella migliore delle ipotesi, un rigurgito della “casalinga di Voghera”. Assai meno ora, quando le critiche al governo “tecnico” sono in crescita sia all’interno che all’estero (dove, a quanto sembra, Monti è stato più gradito).
Il Grigiocrate analizza il percorso del premier, dagli esordi torinesi sino alla guida del governo. Tecnocrate grigio, circondato da personaggi non sempre eccelsi, ma di grande potere e sostenuto dagli organi d’informazione. Un volume che scalfisce il luogo comune dei tecnocrati come “salvatori della Patria”, mettendo a nudo la realtà di un Governo imposto ai cittadini dall’alto, più al servizio di oligarchie internazionali che impegnato nella tutela del Paese.
Il libro, vivace e ben scritto, è pieno di dati e giudizi evidenti, come la considerazione fatta ormai – si pensa – dalla maggioranza degli italiani che per aumentare le tasse sulla casa e la benzina bastava un qualsiasi governo doroteo e non certo l’osannato (dalla stampa) governo di geni (e tali perché tecnici). Pone tuttavia una serie di quesiti, alcuni dei quali giriamo al lettore.
Primo: il governo Monti ha evidenti sponsor esteri, da cui (e verso cui) manifesta dipendenza. Ma questa è una distinzione quantitativa (rispetto ai governi della Repubblica) più che qualitativa: nel senso che tutti i governi italiani l’hanno avuta, dal 1944 in poi. E che avvertiva Orlando (Vittorio Emanuele) quando alla Costituente tacciava di “cupidigia di servilità” (verso lo straniero) il governo (e la classe politica) di allora. Quello di Monti ne dipende (dall’estero) ancora di più e non lo nasconde anzi, a tratti, lo rivendica e sembra farne merito e motivo d’orgoglio. Ma la causa non ne è forse la recente storia del dopoguerra, la costituzione vigente e una classe politica consapevole di avere avuto il potere dai vincitori del secondo conflitto mondiale? E quindi il prof. Monti è solo l’effetto ultimo ed evidente di una “sovranità limitata”  imposta da (quasi) settant’anni per cui è difficile criticare (solo) l’ultimo arrivato.
Secondo: le “trovate” del governo, (tipo aumento delle accise, IMU, ecc. ecc.) rivelano meno fantasia che coraggio. Ma anche qua, siamo proprio sicuri che abbiamo soltanto una classe politica di basso profilo, dedita più alla carriera che al servizio dell’interesse generale? O la menda va rivolta all’intera classe dirigente, cioè a tutti coloro che detengono una “posizione di potere sociale” (pubblica o privata che sia)?
Anni fa era pubblicato un libro di un certo successo che additava come “casta” la classe politica. Che molto di vero ci fosse, è chiaro:  perché di caste in Italia ve ne sono tante. Ovvero tante “oligarchie”, poco (o punto) accessibili e quindi chiuse, autoreferenziali e riproducentesi per cooptazione. Il che, a giudizio di Pareto, tende a limitare la circolazione delle elites e quindi a farle decadere (e con loro la società). Che nell’università italiana non si trovino da decenni i Gentile, i Fermi, i Santi Romano; che nell’industria la razza dei Giovanni Agnelli (senior, s’intende) e dei Valletta, dei Mattei sia rimasta senza eredi (almeno di quel livello) è evidente. E così si potrebbe continuare per il sindacato, le istituzioni finanziarie (pubbliche e private), la letteratura e lo spettacolo. Non mi ricordo che nessuno abbia notato, come, negli ultimi anni, i più prestigiosi premi internazionali conferiti ad italiani erano a due attori comici, il che significa che ciò in cui eccellono gli italiani contemporanei è, secondo l’opinione degli stranieri, la comicità. Non per nulla un altro comico si è candidato, per ora a fare il capo dell’opposizione, subito dopo il Presidente della Repubblica.
Non si può pretendere che da una classe dirigente in declino, Monti traesse altro che quello che ha; piuttosto credere che trovasse qualcosa di meglio è una delle aspettative coltivate da una stampa prona e incensante, il cui contraccolpo il governo sta subendo.
La realtà è che il merito ascritto al “grigiocrate” è proprio quello che, agli occhi di ogni democratico, sincero e smaliziato, è il difetto più evidente: di non essere stato eletto e legittimato (e quindi influenzato) dal popolo; che è pregio agli occhi dei “poteri forti”. Tant’è che, quando Berlusconi era tornato al governo, i mezzi d’informazione  da quelli condizionati (quasi tutti) hanno cominciato a interrogarsi, indagare, demonizzare il “populismo”. In realtà sotto quel termine nascondevano il loro timore per il popolo e un governo da questo plebiscitato. Hanno fatto tesoro di parte del giudizio di Montesquieu che il popolo ha centomila braccia (e potrebbe usarle per prendere a bastonate i governanti); e dimenticato  subito il seguito (del pensiero di Montesquieu) che il popolo ha grande capacità di scelta di coloro cui affida parte della propria autorità.
Ma non è dato vedere come possa esserci una democrazia senza popolo e senza scelte di questo: credere a ciò è come ritenere possibile una teocrazia senza preti, o un’aristocrazia senza nobili. Un bisticcio di parole per occultare la realtà. Ma a lungo andare un governo “tecnico” in uno Stato democratico è debole perché gli manca una parte essenziale del circuito politico (capo-seguito, ovvero comando-obbedienza).
In uno Stato la forza di un governo è data – almeno per metà – dal consenso del popolo, e in uno democratico ancora di più, onde alla fine un governo non legittimato finisce per essere quello che poi è: privo del (principale) elemento di forza, è un governo debole, anche se avesse i pregi ascrittigli dagli organi d’informazione. Proprio quello che vogliono i “poteri forti”.
Teodoro Klitsche de la Grange
   

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