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il reality della morte

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Candid Camera esplosiva in Iraq

 

COME in tutte le “candid-camera”, il protagonista della beffa si trova all’improvviso in una situazione disagevole. Ma il disagio inflitto alle sue vittime dalla tv al-Baghdadia è commisurato alla situazione irachena.

In un Paese dove ancora in agosto sono stati uccisi quasi cinquecento civili, chi dilaniato da un’esplosione e chi ammazzato perché la sua etnia non è ben vista nel tale quartiere, il livello della sopportazione è così alto che far perdere il controllo a qualcuno pare un’impresa. Perché lo “scherzo” riesca, devono aver pensato quelli di al-Baghdadia, dovrà essere davvero pesante. Così agli attori e ai cantanti ospiti della tv accade di scoprire il ticchettio di una bomba ad orologeria nel taxi che li sta portando in studio. Quando il taxi viene fermato ad un posto di blocco, il passeggero si crede in salvo. Ma il suo sollievo cede rapidamente il passo al terrore perché i soldati gli contestano la bomba, lo accusano di essere un dinamitardo, gli promettono un plotone d’esecuzione e infine lo consegnano alla polizia militare con le parole che danno il titolo alla trasmissione: “Portatelo a Bucca”, il carcere noto per il suo centro di tortura, un tempo gestito dagli americani.

Forse a motivo della componente sadica che certamente esiste in ogni pubblico e ad ogni latitudine, il programma è un successo. E infatti al-Baghdadia lo manda in onda nella fascia di maggior ascolto, che ora comincia alle 23, dopo la lunga cena che chiude la giornata di

digiuno prevista in questa epoca dalla festività del Ramadan. Non mancano assennati che protestano, però flebilmente, vuoi perché in Iraq non mancano motivi più seri per indignarsi, vuoi perché la flemma con cui alcuni attori e cantanti reagiscono allo “scherzo” lascia sospettare che siano stati informati in anticipo di quel che li aspetta.

Più difficile capire l’acquiescenza dei giornalisti di al-Baghdadia ad un gioco televisivo che trasforma in parodia la
morte, soprattutto perché quella è la morte toccata a loro colleghi. Nel 2006 tre giornalisti della tv furono ammazzati a Bagdad, uno da una bomba, un secondo da un sicario, un terzo sotto tortura. Due anni fa, nei paraggi del carcere di Abu-Ghraib, l’esplosione provocata da un kamikaze dilaniò un quarto giornalista e un cameraman. La redazione non ritiene di aver sporcato la memoria di questi lutti e offre motivazioni politiche. “Portatelo a Bucca” sarebbe non un programma di intrattenimento ma una satira contro la guerra, provocatorio come dev’essere la satira. E come certamente è per vocazione (politica e commerciale) la tv al-Baghdadia. Un suo redattore, Muntazar al-Zaidi, due anni fa divenne il giornalista più famoso del Medio Oriente lanciando le sue due scarpe contro George W. Bush, durante una conferenza-stampa a Bagdad. Trasformato in spot della tv, il filmato del lancio contro il presidente americano fu per mesi così popolare che Washington chiese di censurarlo, giudicando che incitasse all’odio le strade arabe. Lo chiese al governo egiziano, poiché al-Baghdadia, malgrado il nome, ha casamadre al Cairo e finanziatori in Arabia saudita. E forse anche per questa distanza può mettere in burla la catastrofe irachena.

E’ satira “Portatelo a Bucca”? Lo sarebbe se prendesse di mira, per esempio, le milizie etniche – affari loschi, metodi brutali e sponsor internazionali. O i giochi che muove il petrolio. O Al Qaeda. Ma il programma neppure sfiora quella gente assai permalosa. Invece mette in scena un Iraq che deride stesso. E perciò sembra il ghigno patetico di un popolo sconfitto, cui una feroce auto-ironia appare l’unico modo rimasto per accettare la consuetudine all’orrore. Per arrendersi.

 

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