Home Alterview IMMIGRAZIONE: CHE NE E’ DELLA BELLA VERONA?

IMMIGRAZIONE: CHE NE E’ DELLA BELLA VERONA?

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Domenica l’ennesima lite tra immigrati finita nel sangue. I residenti e chi lavora a Verona Porta Nuova non si stupiscono: la violenza e la criminalità sono quotidiane I cittadini: «Dopo le 21, passare da piazzale XXV Aprile, è pericoloso persino se si è in auto»




Sembrano giardini, ma l’apparenza inganna. In realtà piazzale XXV Aprile, di fronte alla stazione, è un centro commerciale a cielo aperto, gestito dagli immigrati e in funzione 24 ore su 24. Vi si trova di tutto, dagli hot-dog alle birre, dal kebab alle donne, dalla droga alle sigarette. Basta chiedere. E pagare. Ma non tutto fila sempre liscio. Ogni tanto scoppia qualche litigio e la legge del «centro commerciale» prevede che sia il coltello a dirimere la questione. Come è accaduto domenica sera. L’ennesima lite tra stranieri è degenerata e si è conclusa con un ferimento: un rumeno, irregolare e senza fissa dimora, è stato accoltellato. Ora è ricoverato all’ospedale di Borgo Trento. Le sue condizioni, per fortuna, non sono gravi. Grave è, invece, che il piazzale della stazione sia diventato territorio off limits per tutti coloro che vivono e lavorano nella zona. Dopo le 21 nessuno si arrischia a metterci piede. A ragione, perché gli episodi di violenza sono frequenti. Solo pochi mesi fa davanti alla biglietteria della stazione degli autobus è stato accoltellato un altro uomo, questa volta a morte. La vittima era un giovane nordafricano, regolarmente in Italia, incappato in un regolamento di conti tra bande di spacciatori. E se è vero che gli accoltellamenti avvengono sempre tra stranieri, è anche vero che l’atmosfera che si è creata fa paura. Passeggiare tra spacciatori, prostitute, tossicodipendenti e protettori non tranquillizza nessuno, men che meno i pensionati. «Magari si assiste per caso a qualcosa che non si doveva vedere e allora come finisce?», commenta un anziano residente (nessun intervistato ha voluto rilasciare il suo nome). «Mi dispiace, ma non voglio saperlo. Io esco al mattino, faccio una passeggiata il più possibile all’esterno dei giardini e poi mi barrico in casa. Ci sono troppe brutte facce in giro e non ho più trent’anni. Non riuscirei neanche a difendermi».
Attraversare i giardini non è affatto rilassante. Non sono neppure le 16, ma i «commercianti» sono parecchi. Gli immigrati sono seduti a terra, bevono birra. Uno ha la schiena appoggiata a una panchina. Per ammazzare il tempo ha costruito una piramide con le lattine che lui o altri hanno bevuto: ne contiamo nove. Un altro, mentre passiamo, si alza e va tranquillamente ad espletare i suoi bisogni fisiologici contro un albero. Gli altri osservano il passaggio, puntando gli occhi addosso a chiunque arrivi. Acceleriamo il passo e raggiungiamo la stazione. Qui ci si sente al sicuro, ma lo stesso non si può dire per i negozianti. «Abbiamo paura di tutto e di tutti», spiega uno di loro. «Con l’arrivo dei rumeni e degli slavi siamo nel caos. Sono strafottenti, entrano in negozio e pretendono la merce anche se i soldi che hanno non bastano. Cerchiamo di non farci intimorire e di fronte al nostro “no”, lasciano il denaro alla cassa, escono dal negozio e fermano la gente che passa per chiedere soldi. Non sanno neppure cos’è il rispetto».
Intimorite sono anche altre due negozianti. «Abbiamo deciso di aprire prima al mattino per poter andare via prima alla sera, finché c’è ancora chiaro», spiegano. «Quando esco», aggiunge una delle due, «telefono subito a casa e resto

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