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Draghi spiegava ad Asor Rosa che il golpe non serve più

Democrazia e mercato hanno alla lunga bisogno l’una dell’altro, ma coesistono in una costante tensione, che deve essere sempre al centro dell’interesse della politica, a cui spetta tracciare i confini fra i diritti irrinunciabili delle persone e l’agire del mercato.
Il capitalismo deve essere regolato, come hanno insegnato gli stessi maestri del pensiero liberale, in primo luogo Luigi Einaudi. Nel mondo d’oggi la regolazione è molto più efficace se può contare su strumenti globali; la riforma del sistema finanziario internazionale sarà uno dei fondamenti su cui poggerà il governo del rapporto fra mercato e democrazia.
Le strutture in cui si discutono le riforme in campo economico internazionale sono di varia natura. Alcune sono basate su trattati internazionali sottoscritti dai governi: l’Fmi, l’Ocse, la stessa Ue, a cui sono però attribuite anche competenze proprie, frutto di cessioni di sovranità da parte degli Stati membri. Altre costituiscono networks caratterizzati da gradi variabili di informalità, a cui aderiscono direttamente gli esponenti dei governi nazionali, come il G-20, o personale tecnico che agisce su mandato di una struttura intergovernativa, come nel caso dell’FSB. Infine, esistono networks che agiscono senza investiture dei governi, come il Comitato di Basilea sulla supervisione bancaria, nato nel 1974 per iniziativa delle banche centrali del G-10 all’indomani della crisi che travolse in Germania la Herstatt Bank.
L’esperienza della crisi di questi anni ha confermato il contributo importante di queste strutture transgovernative alla ricerca di soluzioni condivise. In primo luogo, esse conferiscono flessibilità alla cooperazione internazionale in un contesto di elevata interdipendenza, in cui possono esplodere crisi imprevedibili con effetti sistemici: reagiscono prontamente, non necessitano di input politici in corso d’opera. In secondo luogo, formano un ambiente particolarmente favorevole alla diffusione e allo scambio delle informazioni rilevanti, un fattore determinante per la costruzione della fiducia, senza la quale i mercati non possono funzionare. In molti casi queste strutture fissano standard internazionali a cui devono attenersi i regolatori nazionali nella loro attività di supervisione. In tal modo esse (creazioni di una sorta di soft law) prefigurano nuovi modi con cui esplicare la sovranità, che viene per loro tramite disarticolata funzionalmente, prospettando una forma di politica pubblica globale (…).
Separando la nozione di sovranità da quella di territorio cresce tuttavia il rischio – alcuni sostengono – di un deficit democratico: si potrebbe temere l’affermazione di un’opaca tecnocrazia globale, formata da regolatori non eletti e quindi non sottoposti al giudizio delle proprie constituencies politiche se non in forme mediate e sostanzialmente inefficaci.
Ma quanto è fondato un timore del genere? Esso pare traslare su scala internazionale l’analogo timore un tempo espresso, in singoli paesi o aree monetarie, verso l’autonomia della banca centrale dal potere politico, oggi indiscussa. Il “render conto delle proprie azioni”, con trasparenza, nei tempi e nelle forme prescritte dalla legge, è la chiave per risolvere ogni potenziale tensione fra autorità indipendenti e istituzioni politiche. Questa lezione, appresa dalla storia delle moderne banche centrali, va applicata ovunque serva.
Le strutture transgovernative mirano a rispondere alla crescente interdipendenza delle economie con analisi e interventi che superano quelli dei singoli Stati nazionali, che pure rimangono i referenti ultimi dei processi decisionali. Occorre ciò nondimeno interrogarsi sulla natura della sovranità.
In gioco è l’attributo della territorialità, la base dello Stato-nazione. Esso è collegato strettamente con la questione dei fondamenti possibili di una giustizia globale: una linea di pensiero che risale a Hobbes sostiene come la giustizia non sia scindibile dalla capacità di enforcement di un contratto sociale, che appartiene solo allo Stato e con riferimento a un territorio determinato. Scrive Max Weber: “lo Stato è quella comunità umana la quale nell’ambito di un determinato territorio – ed è il territorio l’elemento caratteristico – pretende per sé (con successo) il monopolio dell’uso legittimo della forza”.
Da dove allora trarre la legittimità di regole, leggi, procedure in un ambito internazionale in cui non esiste un Leviatano? La domanda cerca ancora una risposta definitiva. E’ chiaro che forme di governo globale sono oggi indispensabili, ma è anche chiaro che esse richiedono il sacrificio di parti di sovranità nazionale.
L’Unione europea è un punto di riferimento nel mondo per come ha saputo sviluppare negli anni una forma originale di governo, fondata sugli Stati sovrani ma dotata di strutture sovranazionali volte alla soluzione di problemi comuni. Il suo assetto è in evoluzione. I successi si accompagnano con tensioni fra Stati e fra questi e le istituzioni comunitarie. Ma per noi italiani, per noi europei, l’Unione è la condizione essenziale per progredire ancora.

Cari i miei complottisti, cari i miei “paranoici”, fino a ieri tanto derisi, oggi non siete neppur riconosciuti perché vi accorgete di esser stati superati.
Le eccellenze spiegano chiaramente come operano per assicurare definitivamente il dominio di una casta cosmopolita sull’intera umanità, sgretolando Stati, Nazioni, libertà e sovranità.
Impariamola a memoria: è una vera Lectio Magistralis.

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