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Io ci sono

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perché rispondere al richiamo si deve

Giacché si appartiene ad una medesima razza, che è corpo, colore e sapore quanto è spirito e predisposizione d’animo, il richiamo allo Stile dovrebbe suscitare reazioni univoche. Mondati da sovrastrutture indotte e dalle frenesie quotidiane, dovremmo ritrovarci.
I fatti provano, al contrario, che solo alcuni ne sono stati e ne sono capaci.
Pochi, aldilà delle ostentazioni formali, hanno alimentato il fiore della Tradizione, pochi ne hanno percorso il sentiero aspro e solitario senza cadere.
Tra scetticismo e disillusione, il richiamo di Gabriele Adinolfi pone a quei pochi che ancora riescono ad emozionarsi, il dovere di serrare i ranghi.
Abbiamo fatto quanto possibile per dimostrare a noi stessi che aldilà di motti e parole d’ordine, siamo vivi, gli ultimi, nella malora.
Abbiamo cantato con orgoglio la nostra anomalia, quella stortura scoperta in gioventù che trascinava dalla parte opposta della corrente.
Abbiamo seminato. Insinuando dubbi ogni giorno, mostrando il nostro volto pulito a chi ci credeva sporchi, la nostra bellezza a chi ci supponeva mostri.
Ai nostri cari ed a quegli amici che non capivano cosa fosse il tumulto che agitava, abbiamo detto che era Amore. Puro, disinteressato.
Siamo chiamati, adesso, a riunirci ed essere Fascio.
Il precipizio che ingoia l’Europa, nato nella putredine di Yalta, alimentato da Chiese, diritti civili e superstizioni, offre la chance della polarità.
Consente di essere luce per chi vive nella tenebra e scopre, dopo 70 anni, il grande inganno.
Scopre che l’incantesimo si è rotto e che per lui, per il suo democratico benessere, per la sua salute e quella dei suoi figli, non v’è futuro.
È un bivio che possiamo imboccare, forse, per l’ultima volta.
Riusciremo solo fregiandoci anima e corpo delle fiamme nere, armandoci di sana intemperanza e coraggio. Ritrovando lo Stile, appunto, e indossando, fuor di metafora, la nostra più candida camicia nera.

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