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Iraq, la rapina del secolo

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Le mani degli antiquari Usa sui capolavori di Babilonia.


Quando l’ultimo elicottero si leverà in volo dal tetto della più grande ambasciata degli Stati Uniti nel mondo il tragico bilancio di una guerra sanguinosa e dissennata registrerà solo un dato positivo: positivo non certo per l’Iraq e per l’umanità tutta, ma per i saccheggiatori del patrimonio archeologico di questo paese, per gli antiquari e i mercanti d’arte disonesti, per i grandi musei della repubblica stellata.

Vera o falsa, la notizia del sequestro di reperti archeologici su un automezzo del contingente italiano a Nassiriya è ben poca cosa di fronte alle dimensioni di una rapina che ha fatto già impallidire la memoria storica di quella napoleonica o dell’altra perpetrata in Italia tra l’800 e il ‘900 dai “baroni ladri” Usa.

I capolavori trafugati della civiltà sumera e assiro babilonese sono ormai oggetto di accanita trattativa privata tra i grandi antiquari della 57ma strada di New York, a Bruxelles e a Londra, ma le cosiddette opere minori, come i sigilli cilindrici e le tavolette a caratteri cuneiformi dell’era sumera fanno bella mostra di sé nelle vetrine del Sablon, di St. James e della seconda Avenue: a nulla sono serviti gli allarmati appelli dell’Unesco e dei più insigni storici d’arte antica riuniti a convegno pochi mesi fa a Bruxelles, a nulla l’azione di contrasto condotta dal ministro giordano per le antichità Fawas Khreisheh che ha tra l’altro dato notizia del ricorrente sequestro sulla frontiera con l’Iraq di reperti rinvenuti nelle valigie di giornalisti americani, inglesi, belgi e italiani.

Anche le nostre denunce nel parlamento europeo hanno cozzato contro l’indifferenza della signora Viviane Reading, la più insipiente dei commissari alla cultura nell’intera storia dell’Unione. E’ pur vero che subito dopo il clamore provocato dal saccheggio, sotto gli occhi dei marines, del museo nazionale di Baghdad l’Fbi si era dato da fare, sequestrando ad esempio nel porto di Napoli l’intero carico archeologico di una nave da 9mila tonnellate proveniente dal Kuwait.

Ma negli ultimi otto mesi l’ente investigativo federale è stato costretto ad occuparsi di ben altro. Cosa si può dire poi dell’azione di tutela e restauro affidata a cinque carabinieri e agli archeologi Giovanni Pettinato e Giuseppe Proietti, un’azione rivendicata con orgoglio in Parlamento dal ministro Urbani che aveva tra l’altro esaltato l’opera di un nostro plenipotenziario presso le truppe di occupazione, l’ambasciatore Pietro Cordone? Di questo nostro diplomatico possiamo solo riferire quanto riportato dall’Economist, che si è occupato principalmente della debaathificazione o epurazione degli addetti alla cultura irachena e poi dell’allestimento di una mostra itinerante di capolavori assiro babilonesi “presi in prestito” e destinata a circolare per le principali città degli Stati Uniti.

C’è da augurarsi che il suo successore, ambasciatore Mario Bondioli Osio possa fare di meglio anche se la crescente marea di sangue induce ad un marcato pessimismo. Sono ormai mesi che l’amministrazione americana tace sull’argomento, ma anche se si pronunziasse raccoglierebbe poco credito. Della credibilità zero del presidente Bush scrive sul Washington Post Richard Cohen in un commento dal significativo titolo “consistentemente disconnesso”.

I fatti continuano a smentire nel giro di poche ore le parole del capo dell’esecutivo: nel suo discorso all’Accademia militare di Carlysle aveva sottolineato

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