giovedì 18 Luglio 2024

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Avemmo sempre ragione quando la realtà ci dava torto. Ora siamo riusciti nell’impresa d’incappare nell’esatto contrario

 

L’avvento del Mondialismo lo avevamo previsto noi in senso lato già a fine anni trenta.
In seguito, l’ultimo romanzo di Drieu La Rochelle, I cani di paglia, parlava proprio del Mondialismo che stava vincendo il conflitto mondiale essendo riuscito a strumentalizzare le passioni ideologiche di tutti.  Subito dopo la guerra, Raymond Abelio scrisse una trilogia che trattava dell’avvento del Mondialismo alla guida di ogni nazione.
Non fu solo una questione letteraria; in diversi ambienti avveduti dell’Asse era maturata la convinzione di uno scontro, al tempo stesso mistico, filosofico, politico e militare, con le centrali mondialiste e cabaliste. Alle quali nessuno era così sprovveduto da pretendere di opporre le individualità nazionali, bensì interi sistemi geopolitici e geoculturali di portata imperiale che avrebbero potuto e dovuto disarticolare la piovra dominante.
Così emerse l’Idea d’Europa che fu sentita al punto che, una volta che la guerra era praticamente persa, Hermann Goering disse di attendersi comunque un avvenire europeo, di tipo federale, che avrebbe sconfitto le centrali reazionarie, con sua somma soddisfazione.

Anticipammo l’Europa
L’intero dopoguerra sarà caratterizzato da avanguardie nazional-rivoluzionarie che propugneranno l’Europa Nazione, non soltanto come potenza politica e militare, ma anche come garante di un’identità che affonda le radici stabilmente nella protostoria, molto prima e molto più profondamente di quanto possano farlo le nazioni stesse. Le quali nazioni nel loro assetto istituzionale e sovrano sono in fondo delle parentesi storiche: generalmente figlie in questo di movimenti filosofici e psicologici che alla realtà contingente offrivano una forma unitaria, prodotto delle borghesie rivoluzionarie. L’Italia non nasceva di certo nel 1861 ma almeno due millenni prima. Se una necessità storica la volle istituzionalmente unita, essa andava assecondata allora e va oggi rivendicata senza alcuna fossilizzazione.
L’Italia non era unita che da pochi anni che già si voleva imperiale. Con l’Internazionale dei Nazionalismi e con la sfida della Guerra Mondiale, il nazionalismo italiano si farà infine europeo.
Dopo la sconfitta nascerà la consapevolezza che solo un’Europa Nazione avrebbe potuto reggere il confronto con le potenze dominanti. Le avanguardie nazional-rivoluzionarie affermeranno per decenni che alcun avvenire sarebbe stato possibile se l’Europa non avesse trovato, per amore o per forza, un suo assetto unitario. Lo spirito del nazionalismo rivoluzionario assumerà così tratti e margini nuovi: dalla Giovine Italia alla Giovane Europa.
Gli sviluppi della tecnologia, del capitalismo e delle relazioni internazionali confermeranno che quelle avanguardie avevano compreso appieno, anzi, avevano addirittura anticipato le necessità storiche. Non a caso erano avanguardie.

Anticipammo il populismo
L’accentramento dei poteri forti e delle ricchezze, il crollo demografico in Occidente, il freno della produttività, l’impoverimento dei ceti medi, vennero previsti anch’essi, fin dagli anni settanta, dalle avanguardie politiche, al punto che il Centro Studi Orientamenti & Ricerca, da me animato da Parigi insieme a Walter Spedicato, predisse la svolta che oggi si chiama populista che, se affiancata all’emancipazione europea dalla sudditanza atlantica, avrebbe formato un quadro storicamente rivoluzionario, com’è puntualmente accaduto anche se, purtroppo, orfano di qualunque avanguardia.
Abbiamo avuto, noi in senso lato, sempre ragione? Sì. Non solo noi: anche Lenin ed Engels e lo stesso Marx, in tutt’altra ottica, avevano visto giusto. Però la loro visione era più stretta e angusta e la loro adattabilità all’umano era assolutamente inferiore rispetto alla nostra, mentre la coscienza metafisica, pur presente sotto traccia, veniva negata.
In ogni caso le avanguardie rivoluzionarie avevano visto giusto. Più la nostra della loro.

Gli altri anticiparono noi
Dove però, non le avanguardie comuniste ma i comunisti in genere, hanno mostrato di avere pienamente ragione è, purtroppo, nel modo in cui – sempre in senso lato – ci hanno liquidato.
Di noi dicevano un tempo che eravamo piccoli borghesi, individualisti, approssimativi, soggettivisti, superficiali, infeudati agli americani. E sostenevano, lo rammento, che eravamo reazionari, che la reazione è quella cosa che, fondata sul panico e sulla miopia, si appropria di ogni ideologia nel momento in cui inizia a diventare caduca. L’esempio storico che si presentava a illustrare questa mentalità veniva fornito dai liberali, quelli della sinistra rivoluzionaria dell’ottocento, finiti col tempo mummificati a destra. O meglio recuperati in restiling dai codini, la cui prerogativa sarebbe quella di aggrapparsi sempre all’ultimo feticcio storico, quale che sia.
Allora ridevo perché non corrispondeva ai nostri profili. Oggi rido di meno.

Alla rinfusa
Così come avevamo previsto in tempi non sospetti, il ceto popolare si è spostato a destra, anche estrema. Ma, fermi restando tatuaggi, simboli e innamoramenti storici, chi si è formato sulla cultura del mondo al quale pretenderebbe di appartenere? Ben poca gente purtroppo. Tutt’al più da un album di frasi, gesti, leggi, idee, affermazioni, si pesca quello che più fa comodo per sostenere la propria inclinazione del momento, infischiandosene generalmente di conservare la coerenza d’insieme e la sua continuità. Si sceglie un “fascismo” a menu, rifiutando ora questo, ora quello, fino a rivendicare, di quell’esperienza storica, il New Deal italiano, o la socialdemocrazia in camicia nera. E poi, accanto a questo pupazzo di peluche, ci si nutre di quello che offre il convento della cultura corrente.
Sicché un contenitore sempre più confuso ha finito soprattutto con l’accogliere acriticamente nuovi contenuti, sovente alieni a ciò da cui pretenderebbe di discendere.

Che peccato!
Essendo il frutto di una psicologia rivoluzionaria che non ha subito, a differenza del secolo scorso, l’azione rettificatrice di un’avanguardia rivoluzionaria, questo confuso contenitore ha fatto puntualmente quello che in passato fece ogni codino, cioè l’opposto esatto di quello che avrebbe dovuto fare.
Così, proprio quando la storia dà ragione ai fascisti e ai neofascisti e l’attualità le offre spazi per una rivoluzione come minimo gramsciana, l’estrema destra senz’accorgersene è invece diventata bottegaia, individualista di massa, anti-tedesca, anti-europea, considera superati tutti gli aspetti fondanti del fascismo, esclusi quelli sociali, che poi si trovano anche in Svezia o nel capitalismo renano, riscopre la democrazia e la Costituzione scritta sul nostro sangue, si allinea al partito Wasp, rimpiange l’era democristiana dell’economia a debito  (che Mussolini disprezzava) e rinnega tutta l’evoluzione del nazionalismo rivoluzionario a cui impone letteralmente la retromarcia. Nel rinnegare se stessa senza neppure accorgersene, essa si fa, insomma, l’estremista nevrotica degli sconfitti della globalizzazione invece di provare a porsi all’avanguardia di un progetto di rettifica rivoluzionaria.
Un vero e proprio suicidio oltre che un delitto perché, se solo fosse presente a se stessa e se avesse la modestia necessaria per la sua purezza, essa potrebbe assumere il ruolo che va ricoperto perché ne ha il potenziale umano e sentimentale.

Se possiamo essere orgogliosi per il fatto che la realtà ci ha dato puntualmente ragione, dobbiamo registrare con disappunto che l’ha data anche ai comunisti: non tanto per l’avvenire del mondo quanto per quel che ci riguarda.

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