Jihad

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Una strategia asimmetrica e sistemica

Uno degli errori nell’affrontare il problema del radicalismo islamico è di vederlo come una questione di ordine pubblico, un fenomeno terroristico diffuso nei vari paesi europei e da affrontare contestualmente alle specifiche condizioni degli Stati interessanti.
È come guardare il dito e non la luna, secondo l’antico proverbio orientale per il quale lo sciocco guarda il primo e il saggio la seconda.
L’invasione allogena e il terrorismo, l’attentato sanguinario e l’operazione finanziaria, le moschee ‘fai da te’ e la predicazione ‘moderata’, sono tutte tattiche – e non le sole – che si inquadrano nella più vasta strategia di attacco alla cultura, alle tradizioni, alla civiltà europea ed occidentale in generale.
Due considerazioni da fare risultano fondamentali per comprendere la pervasività e la pericolosità del fenomeno in corso: l’apporto della comunicazione attraverso il web e la dichiarazione di guerra asimmetrica.
Il giudice Stefano Dambruoso, esperto di terrorismo internazionale, identifica e chiarisce perfettamente il primo dispositivo: «L’uso di internet permette la costruzione di legami comunitari e identitari sempre più forti, costituendo una “società” virtuale senza confini né appartenenze nazionali che così tanto somiglia alla mitica umma che i jihadisti vogliono creare».
La modernità, quindi, viene sfruttata dagli stessi che la rifiutano, e la tecnologia diventa lo strumento essenziale per trasmettere ai fedeli le indicazioni teologico-politiche del Corano, e ai possibili proseliti il senso di appartenenza e di comunione alla globalizzata collettività islamica.
Il secondo punto da sottolineare – le anime belle e il buonismo ipocrita si scandalizzino pure e se ne facciano comunque una ragione – è che è in atto una guerra asimmetrica condotta con mezzi diversi e strumenti anche apparentemente non violenti, ma sempre alla fine micidiali. Da un lato, la conquista economica di interi settori del mondo occidentale – dalle squadre di calcio ai marchi della moda, dalla ristorazione e l’albergazione di lusso alle imprese commerciali – che condiziona usi e costumi diversificati. Dall’altro, il supporto logistico e armato di gruppi di attacco, i quali non possono essere definiti terroristici – come specifica Philippe-Joseph Salazar, l’intellettuale marocchino già docente di filosofia a Parigi e professore di retorica a Città del Capo – perché sono a tutti gli effetti dei militari, dei soldati che agiscono in nome e per conto di un ideale impero dell’Islam.
È una guerra di religione, e di diritto intrinsecamente collegato, contro il mondo degli infedeli, non solo dei cristiani, ma anche degli stessi musulmani non allineati alle perversioni interpretative degli estremisti radicalizzati.
Come ho anticipato, trattare la questione solo in termini polizieschi è parziale, fuorviante e perdente. La strategia è asimmetrica e sistemica, quindi la lotta deve essere necessariamente diversificata e globale. Cultura, religione, diritto, economia, etnologia, psicologia, sociologia ed altri strumenti tattici contro un nemico deciso alla conquista e alla sottomissione di tutto il mondo considerato estraneo e eretico.

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