Non sarà certo il primo uomo ad aver mentito a una donna pur di conquistarla, ma una bugia è costata davvero cara al palestinese Sabbar Kashur. Il fattorino trentenne, originario di Gerusalemme est, si è finto ebreo per sedurre una ragazza israeliana. Poco dopo essersi conosciuti, i due avrebbero fatto sesso consensualmente, ma quando l’israeliana ha scoperto la vera identità di Kashur, l’ha denunciato per stupro. Dopo più di un anno di processo lunedì scorso è arrivata la sentenza: la Corte distrettuale di Gerusalemme ha stabilito che il palestinese dovrà scontare 18 mesi di carcere per aver commesso il reato di “stupro con inganno”.
PROCESSO – Le autorità israeliane temono che questa sentenza possa scatenare nuove violenze razziali e aumentare la tensione tra palestinesi ed ebrei. Sebbene ormai vivano da decenni fianco a fianco, in Medio Oriente sono davvero rare le relazioni sentimentali tra membri delle due popolazioni. Proprio per questo il processo di Sabbar Kashur ha catturato l’attenzione di entrambe le comunità. Secondo il resoconto della ventenne israeliana, i due si sarebbero conosciuti fuori a una drogheria nella parte occidentale di Gerusalemme, abitata principalmente da israeliani, nel settembre del 2008. Kashur, che è sposato e padre di due figli, si sarebbe presentato come uno scapolo ebreo alla ricerca di una moglie. Il trentenne palestinese ha raccontato in tribunale una diversa versione: “E’ stata lei ad avvicinarsi – ha dichiarato Kashur durante il processo – Era interessata alla mia moto e abbiamo cominciato a parlare. Non le ho detto nessuna bugia. Mi sono presentato come Dudu perché è così che tutti mi chiamano, anche mia moglie”. Ciò che è certo è che poco dopo i due hanno avuto un rapporto sessuale consensuale in un palazzo vicino. Più tardi, scoperto l’inganno, la ventenne ha denunciato Kashur: “Se non avesse pensato che l’accusato era uno scapolo ebreo interessato a una relazione seriamente romantica, lei non avrebbe ceduto” ha scritto nel verdetto finale il giudice Zvi Segal che ha rilevato come non si tratta del classico “stupro con forza”, ma di una violenza altrettanto subdola.
“SENTENZA RAZZISTA” – Kashur non ci sta e ha già dichiarato che farà ricorso in appello. Per quasi due anni è stato agli arresti domiciliari e la Corte non ha preso in considerazione l’opzione di una punizione più lieve come i classici sei mesi di lavoro nei servizi sociali. Per il trentenne si tratta di una chiara sentenza razzista: “Mi hanno tenuto chiuso in casa per due anni senza nessun motivo – spiega Kashur al quotidiano israeliano Haaretz (http://www.haaretz.com/print-edition/news/jurists-say-arab-s-rape-conviction-sets-dangerous-precedent-1.303109) – Se fossi stato un ebreo non mi avrebbero incolpato di nulla. Quello che ho fatto non è uno stupro. La ragazza era consenziente e sapeva ciò che stavamo facendo”. Dello stesso avviso Elkana Laist, difensore d’ufficio, che ha definito il verdetto “paternalistico nei confronti delle donne”: Gideon Levy, noto editorialista e membro della direzione del quotidiano Haaretz, ha fortemente critica la sentenza: “Vorrei fare solo una domanda al giudice – ha scritto Levy sulle colonne del quotidiano israeliano – Se quest’uomo fosse stato un ebreo e avesse finto di essere musulmano per circuire una donna araba, che cosa sarebbe successo? Sarebbe stato condannato per stupro? Naturalmente la risposta è no”.