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La casa dei fantasmi

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La Asl di Agrigento dimentica degli inquilini per 24 anni, in uno dei tanti palazzi che non sapeva di avere..

 

La Asl di Agrigento si è scordata di quel palazzo. E non ha mai chiesto il canone di affitto agli inquilini. Dieci anni, vent’anni e anche di più: una voragine finanziaria. E una storia che lascia sgomenti. Ora, ora che l’assessore regionale alla sanità ha alzato la coperta su una pagina di sprechi e vergogne senza limite, è troppo tardi per correre ai ripari. Gli abitanti dell’edificio, una palazzina di tre piani di fine Ottocento, sono pronti a giocare la carta dell’usucapione: «Per ventiquattro anni qua non si è fatto sentire né vedere nessuno», riassume la situazione Carmelo Lucà che gestisce uno storico bar al pianterreno e possiede due appartamenti al secondo e al terzo piano.

Può sembrare incredibile, ma è andata proprio così. L’Italia degli sprechi, delle inefficienze e della malaburocrazia non finisce di regalarci sorprese. Così dal fondo della Sicilia arriva questa storia che si fatica persino ad ascoltare: la Asl oggi Asp di Agrigento, possiede oltre duecento immobili, in parte dimenticati, svaniti nel nulla, missing. In questa giostra c’è di tutto. Si sa che tre appartamenti sono a Roma e uno è abitato dal regista Michele Guardì. Poi c’è un feudo di vaste proporzioni a Enna. E poi c’è la palazzina di piazza Marina a Palermo. Vale qualche milione di euro. Niente male per le casse della disastrata sanità dell’isola.

Ma il problema è che a Palermo e anche ad Agrigento non sanno. O non ricordano. L’edificio apparteneva al cavalier Giuseppe Giambalvo che prima di morire decide di donarlo all’ospedale di Agrigento. Una cugina si oppone, poi la lite viene composta e la controversia si chiude nel ’78 secondo i desideri di Giambalvo. La Asl diventa padrona di quella proprietà. E poi? Poi non succede più nulla, come raccontato da Repubblica. La Asl non si preoccupa di riscuotere il canone, i sette affittuari non versano più una lira, per anni il palazzo diventa una sorta di terra di nessuno. Nessuno reclama gli arretrati che si accumulano, il palazzo è un aereo senza pilota. E quando i muri cominciano a venire giù a pezzi, gli inquilini devono mettersi d’accordo e pagare le spese di manutenzione.

Strano, perché la sanità siciliana affoga in un mare debiti e di ritardi, ma al peggio non c’è limite. E soprattutto non è mai stata scattata una fotografia completa del patrimonio delle Asl. Così come in Calabria: qui, secondo il deputato Francesco Nucara, «il buco della sanità si tramanda per via orale». Passano gli anni. Dieci, quindici, venti. Si arriva al 2000. E anche oltre. Alcuni inquilini cominciano a studiare una parola che ogni giorno diventa sempre più importante: usucapione.

Dopo tanti anni di vuoto, chi abita in quelle case può diventarne il padrone. Gli inquilini vanno al catasto, ma scoprono che il padrone risulta essere sempre il cavaliere Giuseppe Giambalvo di Menfi. Partono le cause: gli affittuari non pagano il canone, ma non si sentono abusivi. Semmai si considerano i classici figli di nessuno. La Asl corre ai ripari: chiama un consulente esterno, l’avvocato Marcella Perritore, e la incarica di ricostruire l’intera faccenda. Lei ispeziona gli archivi del tribunale di Palermo e pesca la sentenza di transazione a favore della Asp. Comincia la battaglia giudiziaria. Qualcuno, nell’imminenza della sentenza definitiva, prevista per febbraio, inizia a pagare un canone simbolico di 400 euro ad appartamento. Ormai, gli storici affittuari ragionano come proprietari: «A molti di noi – afferma Lucà – l’ente ha proposto di acquistare l’immobile. Una soluzione che potrebbe anche starci bene, a patto che ci propongano il prezzo catastale di 20 anni fa».
 

 

 

Ora l’assessore regionale Massimo Russo, magistrato in aspettativa, solleva il tema della cattiva gestione dei patrimoni delle Asp. E la storia di piazza Marina supera i confini della Sicilia. Purtroppo la palazzina di Palermo non rappresenta l’eccezione ma la regola: sono decine gli appartamenti di proprietà delle Asp siciliane affittati a prezzi fuori mercato. Bassissimi. Ridicoli. Un’offesa al debito della sanità siciliana. E ai conti della Regione.

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