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La Cina abbassa i toni

Più suadente e meno aggressiva

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La Cina sta adottando una nuova strategia nelle relazioni internazionali? Il dubbio arriva dall’analisi delle ultime mosse del presidente cinese Xi Jinping e potrebbe rappresentare un cambio di passo destinato a stravolgere le dinamiche dei rapporti tra Pechino, i suoi vicini e il mondo occidentale.
Nel decennio scorso e sino a pochi mesi fa il Paese del dragone ha perseguito l’aggressiva Wolf warrior diplomacy così chiamata dal nome di una saga cinematografica di successo con protagonista un agente delle forze speciali cinesi alle prese con nemici in Asia e Africa. La costruzione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale, l’assertività sulla questione di Taiwan, la repressione delle proteste e l’approvazione della legge di sicurezza nazionale ad Hong Kong, le sanzioni nei confronti dell’Australia. Queste sono solo alcune delle misure più in vista della politica estera degli ultimi anni di Pechino.

Tale diplomazia ha accompagnato l’ascesa di Xi Jinping rappresentando una risposta al pivot to Asia di Barack Obama e, soprattutto, alla guerra commerciale scatenata dal successore Donald Trump il quale non esitava a definire la Cina una minaccia. Sin dalla sua elezione nel 2013 il presidente cinese si è fatto portavoce di una narrazione volta a riscattare il “secolo dell’umiliazione” adoperando in particolare i social per convogliare con più efficacia il messaggio della superpotenza nel mondo.

Anche se alcuni aspetti delle relazioni internazionali di Pechino non sembrano essere cambiati – basti pensare alla pressione crescente attorno all’isola di Taiwan – diversi analisti hanno notato un riposizionamento della Cina come peacemaker globale e un “nuovo corso” nella formazione di alleanze con partners ritenuti strategici. Un primo segnale in tal senso sarebbe arrivato nel corso dell’estate con alcuni cambiamenti all’interno del ministero degli affari esteri. Hanno fatto notizia il trasferimento di alcuni wolf warriors, a partire dal portavoce Zhao Lijian, in altri dipartimenti e il licenziamento in circostanze non ancora del tutto chiare del ministro degli esteri Qin Gang.

Il rallentamento dell’economia e l’elevato livello di disoccupazione giovanile potrebbero aver reso necessario un approccio più morbido nei rapporti con i Paesi occidentali. In tempi di congiuntura negativa non è più possibile crearsi dei nemici. L’assenza al G20 in India, le visite di alti funzionari del governo britannico e la missione del presidente francese Emmanuel Macron hanno mostrato come Xi Jinping preferisca trattare con i singoli stati piuttosto che con organizzazioni di Paesi, un modo considerato utile in particolare per impedire alle economie europee di allinearsi alle posizioni di Washington.

La ricerca di un nuovo ruolo per la Cina è apparsa evidente attraverso la sua mediazione per la firma degli accordi tra Iran ed Arabia Saudita, nemici storici in Medio Oriente, e la proposta di un piano di pace per la guerra in Ucraina. L’esito del vertice in Sud Africa che ha portato all’ampliamento del gruppo dei Brics con l’ingresso di Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arbati Uniti è un altro successo diplomatico ascrivibile a Pechino.
In ultimo, a facilitare il ripensamento della politica estera cinese è stato il passaggio negli Stati Uniti dall’amministrazione Trump a quella di Joe Biden con un ridimensionamento della retorica belligerante adesso confinata prevalentemente alla campagna elettorale per le presidenziali del 2024. Test cruciali per l’inedito corso voluto da Xi Jinping saranno però un eventuale ritorno alla Casa Bianca del tycoon e la gestione del dossier Taiwan con elezioni decisive previste sull’isola tra pochi mesi.

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