Chi se ne frega del Togo, la competizione non si ferma
Sangue sulla Coppa d’Africa. Il mondo del calcio è sconvolto dall’agguato di venerdì sera in Cabinda, l’enclave dell’Angola ricca di petrolio, contro il pullman che trasportava la nazionale del Togo. Dopo ore di incertezza, il governo di Lomé ha deciso di ritirare la squadra dalla competizione. Il governo dell’Angola aveva provato invece per tutto il giorno a rassicurare, parlando di “atto isolato” e sostenendo di essere in grado di “garantire la sicurezza” di tutte le nazionali. Il bilancio finale dell’attacco alla frontiera tra Repubblica del Congo e l’enclave di Cabinda è di tre morti. Tra loro nessun calciatore: due sono rimasti feriti, uno è stato trasportato in Sudafrica per essere curato.
Ma sabato, oltre all’autista del bus rimasto ucciso sul colpo dai primi colpi di mitra, il bilancio si è aggravato perché l’allenatore in seconda e l’addetto stampa della nazionale sono morti per le ferite riportate. In Angola si è provato a minimizzare. I mezzi di stampa hanno tenuto alta l’attenzione più sull’evento sportivo che non sull’orrore di un gesto che non ha precedenti nella storia del calcio. L’agguato è stato rivendicato dal Fronte armato di liberazione nazionale (Flec), gruppo armato indipendentista cabindese. Nel 1975 – alla caduta della dittatura in Portogallo – il Flec aveva proclamato l’indipendenza della Repubblica di Cabinda. Pochi mesi dopo però l’Angola riconquistò la provincia che confina con il Congo-Brazzavile e, dopo decenni di scontri con vari gruppi di ribelli, nel 2006 si era arrivati ad un fragile accordo di pace. L’equilibrio, in una zona infestata da gruppi di criminali che agiscono anche sotto etichette politiche, è stato rotto ieri da un inferno di fuoco. Secondo un ministro angolano i ribelli venivano “dalla Repubblica del Congo” e lì sarebbero rientrati dopo l’assalto.
L’agguato ha avuto una dinamica da film di guerra. L’ha raccontata, tra gli altri, il centrocampista dell’Aston Villa Mustafa Salifou. Le raffiche di mitra hanno investito il mezzo mentre percorreva la strada fra Bicongolo e Chiculu, “appena 15 minuti dopo che eravamo entrati in Angola”. La squadra viaggiava in pullman proveniente dal ritiro in Congo. “Il bus è finito sotto il fuoco pesante dei ribelli – ha detto Salifou – L’autista del pullman è stato colpito ed è morto sul colpo. Così ci siamo ritrovati fermi in mezzo alla strada, senza alcun posto in cui andare. Quelli della sicurezza erano in altre due vetture. Erano una decina in tutto ed hanno risposto al fuoco. Ci hanno salvato la vita, La sparatoria è durata una mezz’ora e potevo sentire le pallottole fischiare attorno a me”. Nonostante le terribile testimonianze, il governo angolano ha provato fino all’ultimo a sostenere che la nazionale del Togo sarebbe rimasta in gara. Eppure la star del calcio togolese, Adebayor, era già stato richiamato in Europa dal suo club inglese. E questo era un segnale chiaro. In serata, la decisione di Lomé. E monta ora la polemica per la scelta di far disputare sette partite della Coppa d’Africa in Cabinda. Per l’Angola doveva essere un modo per dimostrare al mondo di avere il pieno controllo sulla regione. Mezz’ora di fuoco su una delegazione di uomini di sport ha dimostrato che non era vero.