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La destra infettiva

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Metsola, Zemmour, Pécresse e dove vanno a parare

 

Il 18 gennaio, esattamente nel giorno del suo quarantatreesimo compleanno, la maltese Roberta Metsola è subentrata allo scomparso David Sassoli come presidente del parlamento Europeo.
A prima vista si tratta di un cambiamento, essendo ella membro del Partito Nazionalista e facendo parte dell’Eurogruppo del Partito Popolare.
Senza bisogno di grattare si scopre però che la donzella di destra è in prima linea per il Black Live Matters ed è woke, mentre su altri argomenti, come l’immigrazione, è solo formalmente più moderata di Sassoli. Si noti che spesso le forme si oppongono alla sostanza, basti considerare certe frenate nel processo migrante impartite sia dal presidente francese Macron che dal ministro degli interni italiano Minniti, entrambi ufficialmente situati nel fronte dell’accoglienza.
In politica, oggi, contano i fatti e non le parole che sono sempre rivolte al target nel quale si pesca a seconda della scuderia di appartenenza.

Destre woke
La scelta della Metsola non è casuale e lascia pensare ad un format.
La vera sfidante di Macron in Francia, ovvero colei che dovrebbe rovesciarne la politica estera al contempo nazionale ed europea per rigettarla nelle sacche sarkoziste e dovrebbe premere di nuovo sull’acceleratore immigrazionista è la candidata di destra Valérie Pécresse, che è una specie di sosia della maltese, un po’ più avanti negli anni.
Anch’essa è progressista, woke e immigrazionista, al punto che non è ancora riuscita a trovare una formula soddisfacente per il suo elettorato che su tutti questi temi, e inoltre sull’obbligo vaccinale, è molto diviso, come l’intero elettorato di destra.
In pratica la Pécresse, e con lei tutto l’ambiente sarkozista e atlantista che la sostiene, conta di vincere la volata dopo essere rimasta in surplace per l’intera prima parte delle elezioni presidenziali di aprile.
Se i suoi padrini riusciranno nell’intento di farla giungere al secondo turno, contano sulla convergenza dei voti degli antimacronisti per provare a scalare l’Eliseo e portarvi un Tricolore a Stelle e Strisce come era accaduto nel 2007 con Sarkozy.
La campagna della Pécresse e dei suoi protettori si fonda tutto sulla divisione feroce delle destre popolari sperando che nella sfida al femminile essa si ritrovi davanti a Marine Le Pen la sera del primo turno.

La creazione di Zemmour
All’uopo è stato programmato e costruito il fenomeno Zemmour.
Si tratta di un reazionario la cui famiglia israelita proviene dall’Algeria, di presunta origine berbera, molto verosimilmente riparata colà dopo la Reconquista spagnola, fuggendo da Zamora a causa del sostegno ai musulmani di Spagna. Il rampollo di questa famiglia, che si chiama Eric ma che sostiene di chiamarsi anche Moishé, ha una vera e propria fissazione al contrario nei confronti dell’Islam, al punto da far pensare che si debba ricorrere a Freud per decifrare il personaggio.
Polemista di successo, bella penna, notevole facondia e in possesso di una cultura storica sufficiente ma comunque universalmente sopravvalutata, Zemmour negli ultimi anni è stato una delle figure culturali politicamente scorrette dell’ultima ondata, come Jean-Yves Camus, Michel Onfray e Michel Houellebecq. Su di lui ha scommesso il magnate Vincent Bolloré, che detiene la catena televisiva CNews, creatura del globalista e progressista Canal Plus.
Gli è stata consegnata per ben due anni la fascia di cena tutte le sere dal lunedì al venerdì, al fine di far crescere il personaggio nell’immaginario francese.
Le alzate di scudi politicamente corrette nei suoi confronti, ma esclusivamente nei suoi, sono state però sempre e solo formali, senza conseguenze reali, e sono servite a pubblicizzarne l’immagine di antagonista e di finto Don Chisciotte. Nessuna persecuzione fiscale, nessuna censura reale, perfino nessun blocco delle pubblicità! Il prodotto mediatico è stato studiato e perfezionato scientificamente in vista della campagna presidenziale nella quale ha due obiettivi da centrare: impedire che Marine Le Pen vada al ballottaggio e preparare le condizioni per la costruzione di una destra reazionaria e liberista che preveda la conciliazione, alle legislative, con sarkozisti e liberisti in modo da far fuori dal gioco le rappresentanze populiste.

Lo stay behind d’Oltralpe
A sostenere Zemmour in quest’opera di distruzione sono accorse alcune figure storiche sarkoziste. È intervenuta la famiglia de Villiers, la cui storia politica è stata segnata sempre e soltanto dalle azioni di disturbo mediante liste camaleontiche il cui unico scopo era quello di frenare il passo di Jean-Marie Le Pen. Sempre a suo sostegno si è schierata quella parte degli apparati francesi che in passato aveva contrastato la politica estera gollista e aveva cooperato con gli americani su tutta la linea, fino alla presa di posizione su Ustica e Bologna dalla parte d’Israele malgrado l’attentato compiuto dal Mossad a La Seyne-sur-mer. Poco importano la linea della propria nazione e le guerre oblique in cui essa è coinvolta per i sedicenti nazionalisti di tipo atlantico il cui cuore batte sempre altrove.
Bolloré d’altronde è in contrasto totale con l’Eliseo. Nella crisi kazaka il suo gruppo sostiene il bancarottiere Ablyazov in contrasto con l’Eliseo a tal punto che Putin per le mediazioni con Washington si è rivolto agli italiani, considerato che Macron, con cui i rapporti sono a dir poco buoni, oltre oceano è in disgrazia e sullo scacchiere kazako sembra scavalcato e spiazzato da “fuoco amico”.
Questa è la compagine che sostiene Zemmour, ovviamente non fino in fondo perché una sua elezione è improponibile. Tira la volata alla Pécresse, stessa identica scuderia, figlia di un dirigente del gruppo di Bolloré, Dominique Roux, ma con possibilità, lei, di essere eletta.

Gli obiettivi che deve colpire
L’operazione Zemmour non si esaurisce qui, ha due obiettivi da colpire contemporaneamente: la forza populista a destra e l’autonomia nazionale all’Eliseo.
Come procede? Molto semplicemente. I toni del suo impegno sono estremistici con tutto quello che Lenin considerava a proposito del termine. Non si tratta d’altro che di agitazione, di richiamo a una mobilitazione per uno scontro frontale. Non a caso, sia pur facendo torto alle proprie origini familiari, ha chiamato il suo nuovo partito Riconquista, con un chiaro richiamo evocativo a un’idea della guerra civile e religiosa quantomeno allegorica. La convinzione che possa cambiare totalmente la società francese e il corso della storia, appropriandosi, per acclamazione, di poteri assoluti che non sono affatto previsti nella carica alla quale ambisce, cosa che sembra ignorare, è predominante in lui e nei suoi fan. Il discorso è infarcito di banalità semplicistiche, di soluzioni miracolose del tutto astratte e viene trasmesso come un toccasana da imporre in fretta e furia con toni da ultima spiaggia alternati a salvezze profetiche. L’estremismo che Lenin definì giustamente come malattia infantile, e che mai è radicale né tantomeno rivoluzionario, si trasmette così per contagio, come il morbillo. Pesca in un elettorato esasperato da situazioni talvolta insostenibili e che è insofferente dei costi sociali ed economici che sta pagando in questa fase storica. Opponendo la sua agitazione frettolosa e il suo impianto politico-mentale sostanzialmente autistico, Zemmour fa quello che è chiamato a fare: spacca in due l’elettorato populista minacciando quindi la presenza di Marine Le Pen al secondo turno.
La spaccatura è anche sociale. Zemmour trasuda classismo e complessi di superiorità sociale e pesca tra la borghesia cittadina mentre i ceti popolari restano con Marine.
Che riesca o meno a impedire a quest’ultima di arrivare al ballottaggio, il suo partito – che si vuole come ricostituzione di un partito sarkozista con ideologia huntingtoniana – potrà ottenere un certo successo alle legislative di luglio perché godrà degli accordi con i Repubblicani di Pécresse per gli spareggi del secondo turno, accordi ai quali il Rassemblement National non può aspirare perché non facente parte del club.

Immigrazione e governo
Le scelte estermistiche e i toni al contempo sussiegosi e intolleranti del patron di Reconquête hanno anche un’altra funzione, magari inconsapevole: mettere fuori gioco i principali temi evocati. Tra questi spicca la questione dell’immigrazione che Zemmour e i suoi fan sostengono essere stata abbandonata da Marine Le Pen. Non solo non è vero, ma basta leggere il programma “miracoloso” del nuovo partito per rendersi conto di tre cose. La prima è che l’ottica con cui si guarda al fenomeno è parzialissima, senza prospettica, praticamente autistica; la seconda è che nessuna delle proposte appena appena sensate che contiene può dirsi non copiata dal Rassemblement National; la terza è che la scelta delle parole e la costruzione delle frasi rendono il programma stesso inaccettabile da parte di qualsiasi persona civile non in preda ad esaltazione febbrile.
Si ha la tendenza a ripetere che Zemmour avrebbe ripreso il programma di Jean-Marie Le Pen, non solo non è vero, ma  lo spirito con cui è stato concepito è agli antipodi, in quanto Le Pen ha sempre mantenuto un’empatia, un umanitarismo e un concetto di dignità della vita che spariscono totalmente nei testi zemmouriani nei quali è difficile sostenere che gli immigrati non siano considerati come delle bestie e degli esseri da sfruttare e gettare. Sembra lo schema saudita.
Si ha l’impressione di trovarsi al cospetto di una mentalità razzista veterotestamentaria. D’altra parte per Zemmour i palestinesi non esistono e la Palestina è un’invenzione del Kgb.
È agevole comprendere che una delle conseguenze immancabili di quest’estremismo sarà la demonizzazione di ogni discorso non fondato sull’accoglienza e sull’integrazione. In primo luogo, a causa della scissione nella destra popolare e quindi del suo indebolimento, la forza e il potere contrattuale di chi la vede in modo diverso saranno ridotti matematicamente e si ritroveranno ingessati in un’immagine molto poco accettabile che, a differenza di quanto era accaduto fino ad oggi, non sarà più la deformazione voluta da parte del potere mediatico-politico di una realtà ben diversa, ma l’espressione di un deumanesimo fatto proprio: l’incarnazione della caricatura dell’originale, immancabilmente capovolto.
Questo si riverserà anche sul prossimo governo rendendo più arduo per Macron il proseguire nel calmierato dell’immigrazione, proprio per non rischiare di essere accomunato sia pur da lontano alla caricatura zemmourista. Se il prossimo governo fosse invece nominato dalla Pécresse le cose saranno ancora più semplici perché lei non continuerà di sicuro le sfide di Macron e, quindi, tra le altre cose rilancerà l’immigrazione perlomeno ai ritmi precedenti.

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