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La destra sconfitta ma è una gran bella notizia

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Il successore della Merkel ha sconfitto i candidati degli americani

Alla fine tra i “tre uomini nella stessa Rhineland barca” (da un titolo molto azzeccato dell’Economist: nel momento che tutti e tre gli sfidanti sono originari del North Rhine-Westphalia; il più grande Land tedesco come microcosmo dell’intera nazione) ha vinto Armin Laschet, il candidato discretamente appoggiato dalla Cancelliera uscente.
In questo congresso virtuale, dove sono stati chiamati a esprimersi 1001 delegati (per lo più parlamentari e sindaci) la Merkel non ha fatto neanche una piccola apparizione, nessun cameo, ma la sua presenza è stata determinante, soprattutto dopo il primo turno, nel momento in cui Fridrich Merz l’eterno sfidante — pur non avendo raggiunto il risultato temuto dall’establishment del Partito (tutti i sondaggi lo davano molto alto, ma alla fine si è fermato solo 5 voti sopra il suo storico nocciolo duro di 380 delegati) — appariva come una credibile minaccia per l’eredità politica di Angela.

Merz alla fine è apparso un candidato fuori tempo massimo, lo era già sembrato a ridosso della Grande Crisi del 2009, quando, a fronte di una richiesta sistemica di una riforma complessiva del modello capitalistico, come ci ricorda Alessandro Aresu, lui si attardava su un modello reganiano (tra l’altro totalmente estraneo alla matrice solidaristica dei cristiano-democratici tedeschi) e oggi, con alcune goffi commenti su Capitol Hill (seppur successivamente rettificati), si è palesato come il difensore di un atlantismo di stampo trumpiano, appannato di fronte alle sfide di un mondo sempre più multipolare e soprattutto non in grado di incarnare quella che il giornalista Claudio Landi ha definito la strategia a “cerchi concentrici” che la Merkel ha così brillantemente implementato in questi lunghi anni alla guida del Paese.

C’è molta geopolitica in questo congresso: in un ritratto (un po’ forzato per la verità) realizzato da Foreign Policy si sottolinea come Laschet, in questi anni abbia: “messo in guardia contro la demonizzazione Putin per l’annessione della Crimea, criticato Washington per il sostegno ai ribelli che hanno cercato di rovesciare al Assad e indicato nel dialogo e nella negoziazione i pilastri su cui costruire il rapporto con Pechino”.
Una posizione molto articolata ma che rende certamente lontane le due sponde dell’Atlantico.
Tra l’altro, si tratta di un punto di vista condiviso a Berlino, basti pensare alle dichiarazioni dell’attuale ministro degli Esteri tedesco – il socialdemocratico Heiko Maas – che, nel novembre 2020, ha affermato che “gli Usa devono abbandonare il proprio ruolo di poliziotto globale e che con Biden lo stile del dibattito cambierà ma i problemi non scompariranno completamente”.
Prima la collaborazione sul vaccino anti-Covid, poi la ripresa dei lavori al gasdotto Nord Stream 2, la Germania assolutamente non vuole rinunciare al suo rapporto speciale con Mosca (GeRussia).
L’approfondimento “strategico” delle relazioni tra Germania e Federazione russa è stato oggetto – tra gli altri – anche di uno studio della Fondazione Friedrich Ebert (un think tank vicino alla Spd). In questo caso gli scenari previsti sono ben quattro.

Cruise Liner – a Value-Based Alliance: nell’auspicata eventualità che si avvii un processo di democratizzazione (tra le righe, il regime di Putin viene rovesciato e al suo posto s’insedia un governo filo-occidentale), la collaborazione diventerebbe strettissima, non solo in campo economico ma anche in quello della sicurezza. Si prospetta l’ipotesi di un’”alleanza basata su princìpi comuni”, e della piena attuazione della German Russian Modernization Partnership: una strategia impostata già dal 2000, ma mai attuata completamente.  Le industrie russe sarebbero completamente riammodernate sotto la direzione tedesca, mentre la partnership punterebbe a stabilizzare (anche militarmente) tutta l’area centro-asiatica, nel presupposto che gli Stati Uniti “trasferiranno progressivamente il loro centro di interesse nel Pacifico”. Si ipotizza – in questo caso – persino un ingresso patrocinato da Berlino di Mosca nella Nato.

Il secondo scenario – Cargo vessell – prevede che Italia, Grecia e gli altri Pigss siano costretti a uscire dall’euro, e che permanga solo il nucleo centrale dell’Ue (chiaramente egemonizzato dalla Germania). La Federazione russa sarebbe pesantemente danneggiata da questo collasso dell’eurozona, e indotta a potenziare il blocco euroasiatico e a orientare la sua azione verso l’Asia estrema e la Cina (fenomeno in parte attivato dalla crisi ucraina); la relazione privilegiata (e ispirata al pragmatismo) con la Germania, non sarebbe però compromessa, anzi, ne sarebbe rafforzata, e i Balcani e il Medioriente sarebbero le realtà maggiormente coinvolte da questa collaborazione.

Una “nuova glaciazione”, Coast guard: se la dirigenza russa dovesse ricorrere a violente misure repressive in risposta alle proteste interne (adottasse comportamenti «antidemocratici», e sul piano della politica estera sviluppasse una posizione revanscista), ci sarebbe un progressivo allontanamento tra i due Paesi. La Russia sarebbe risucchiata dalla profondità dell’Asia, mentre per la Germania la chiusura degli sbocchi sul mercato russo porterebbe alla necessità di trovarne di nuovi, generando una nuova centralità dell’Atlantico.

Il quarto scenario è Sailor boat – business as usual: ossia la prosecuzione della situazione odierna. Importanti affari per le industrie tedesche, qualche occasionale tensione politica, ma in più la collaborazione sostenuta — come oggi — dal pragmatismo e dalla reciproca convenienza.

In fondo, è questo lo scenario preferito sia Berlino che a Mosca.

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