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La legge contro la giustizia

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Ci stiamo facendo l’abitudine

“Quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa un dovere”. Così sentenziava, a ragione, Lotta di popolo, alla ricerca di un’unità di intenti che purtroppo non si è mai riusciti a consolidare.
Siamo da tempo inoltrati nel terzo millennio e possiamo dire con assoluta certezza che mai, in nessun momento né tragedia passata, si è visto l’uomo ridotto a meccanismo informe e manipolabile come nella contemporaneità.
Nel cosiddetto “secolo breve” c’erano le ideologie che seppure con intenzionalità diverse ed opposte strategie puntavano alla configurazione dell’uomo nuovo, un uomo differenziato che esprimesse i valori dell’integrità morale e del coraggio civile, che rappresentasse l’idea stessa di Stato, pur nelle variabili politiche che caratterizzavano anche le opposte visioni del mondo.
Oggi, a parte l’islamismo sanguinario che persegue la sua azione di conquista in nome della religione e del diritto ad essa strettamente connesso, non c’è nemmeno l’ombra di quella che fu la creazione di senso della vita e della comunità in occidente.
Oggi è la legge stessa che si pone come nemica della ragione, del buon senso e dello stesso ordine naturale.
È la legge che impone di non riconoscere le differenze tra gli uomini, che pretende l’annullamento dei generi, che esige di superare l’uguaglianza di fronte al diritto per imporre l’obbligo alla similitudine e alla indifferenziato.
È la legge che prescrive i risultati scolastici, a prescindere dalla preparazione individuale, all’impegno di studio dimostrato da ciascuno, alle reali conoscenze delle materie stabilite, al giudizio complessivo del corpo insegnante.
È la legge che stabilisce i margini geografici di una nazione e le competenze decisionali del governo legittimo, destituendo in questo modo di ogni valore la volontà popolare e la sovranità politica dei singoli Stati.
È la legge che determina la stessa regola della vita, stabilendo le modalità della procreazione e indicando con parametri pseudoscientifici il momento della morte, con tutte le conseguenze di riconoscimento, nel primo caso, e di appropriazione degli organi, nel secondo.
È la legge che impone, con la prevaricazione del “giusto”, rispetto all’etica del “bene”, della “virtù”, ciò che il mondo deve essere e deve diventare, rispetto a ciò che è ed è sempre stato.
La sovversione leguleia è l’atmosfera imperante, dove anche i sentimenti – come la repulsione e l’odio – sono sottoposti al giudizio tribunalizio, e dove la legittima discriminazione, etimologicamente intesa quale opportunità di scelta e di gusto, è sottoposta alla valutazione togata.
La natura non ammette il vuoto, e dove questo si presenta viene rapidamente riempito da altro. Ecco, il meccanismo che ha generato la prevaricazione della legge. E il vuoto è quello della politica, della “neutralizzazione del Politico” secondo l’efficace e sempre valida formula di Carl Schmitt. Quel Politico, che in circolare potenziamento era indissolubilmente legato allo Stato, è stato scomunicato in governance, e lo Stato in società. In questo modo il decisore sovrano si è smarrito, è stato reso impotente ed esitante, per cui direi quasi fisiologicamente – anche se patologicamente negli esiti – la legge, e la magistratura quale suo braccio secolare, ha preso il naturale sopravvento nello spazio istituzionale della mancanza.
Di fronte alla generale sovversione di ogni principio e ad una normativa prevaricatrice e omologante, dobbiamo creare un fronte unitario di resistenza a difesa dell’uomo e della stessa natura. Niente a che vedere con i cascami del buonismo e dell’ecologismo accattone, ma per una rivoluzione spirituale che tragga dalle radici dell’essere la forza del suo divenire.

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