L’immagine che ricorderà negli anni il disastro e la rabbia di Messina sarà quella del palazzo piegato su se stesso, con il primo piano affondato nel letto dello stesso torrente sul quale è stato sciaguratamente costruito. Cinque piani di vergogna, sulla foce cementificata di Scaletta. Ma non se ne vergogna nessuno da questi parti. Né il capo dell’ufficio tecnico Salvatore Calabrò perché si tratta di un rifacimento, né il sindaco Mario Briguglio eletto nel 2003, perché in fondo sono pratiche vecchie, né il suo predecessore che firmò l’autorizzazione e che, guarda un po’, è proprio il padre, Giovanni, in carica dal ’74 al ’94, tante firme su progetti grandi e piccoli, anche su questo abuso che, giura, “di abusivo non ha niente”.
Perché la tesi vincente è che le carte sono in regola. Anche per il costruttore, Carmelo Pagliuca, ditta familiare, pure questa padre e figlio, certo della regolarità: “Abbiamo solo demolito un edificio che c’era prima e l’abbiamo rifatto più bello”. Lo capiscono che rischiano di passare per rozzi, incolti e interessati abusivisti sindaci, costruttori e ingegneri di Scaletta. Ma si difendono, pur bistrattati da Guido Bertolaso. Rimasto di stucco davanti al palazzotto accartocciato, a due passi dalla riva. Con gli inquilini che la mattina s’affacciavano sulla foce tappata. Come le due famiglie di cui non c’è traccia, i Ruscica e i Bonfiglio.
E laggiù dovrebbe esserci pure Santino Bellomo, il macellaio che aveva il negozio in via Roma, lato opposto. Una bottega schizzata via perché è rimasto uno spazio fangoso. Qualcuno scava per potere piangere su chi non c’è più. E altri scavano già fra le scartoffie di un municipio che sembra uno scatolone giallino, un monoblocco schizzato senza fantasia, quartier generale di Mario Briguglio, 43 anni, pizzetto alla D’Artagnan, un cugino importante, capogruppo del Pdl alla Camera, stivaloni infangati, poltrona presidenziale e foto gigante di Mino Reitano perché un fratello del cantante trovò qui moglie e da allora è gloria locale. Chissà se da sindaco, o almeno da rampollo di una famiglia politica ben radicata in zona, si sentirà responsabile degli abusi denunciati da Bertolaso, se avrà avvertito qualche imbarazzo quando lo stesso capo della Protezione civile, per aggirare una montagna di fango sulla vecchia statale diventata il corso del paese e guadagnare la via della spiaggia, è dovuto entrare dentro una casa perché non esistono varchi. “Abusivismo? Ma di che parlate?”, si sorprende Briguglio figlio, pronto a tirare fuori le due lettere scritte a governo, Regione e prefetto fra novembre e dicembre dell’anno scorso, dopo l’alluvione del 2007, per invocare lavori urgenti sul torrente e sulla fiancata della montagna: “Il problema era ed è la frana, non le case a mare. Bisogna bloccare il pericolo lassù da dove l’anno scorso è caduto un masso di cinquanta quintali. Ma non morì nessuno e ci lasciarono sbattere. A cominciare dalla Protezione civile che avrebbe dovuto utilizzare 500 mila euro per la messa in sicurezza con i fondi dell’’idrogeologico’. Belle le conferenze di servizio. Seguite dal nulla”.
Replica a Bertolaso, sorvolando sui disastri a valle: “Certo che non costruiremo più in quella zona. Ma solo ora abbiamo visto che cosa succede. Prima come potevamo prevedere?”. Il quesito piace all’ingegnere Calabrò, 55 anni, occhiali, rotondo, affaticato davanti alla pratica di quella concessione del 1989: “Che c’entra l’abusivismo? Il palazzo nasce su un vecchio insediamento, come il convento delle suore e il palazzo del principe Ruffo anch’essi spazzati dalla valanga. Questa è ‘zona B’”. Formula magica afferrata al volo dal costruttore, Pagliuca, soddisfatto: “Zona B sta per zona di completamento centro urbano marino”. Pure sul torrente? La domanda non piace, ma la risposta è una sola: “Noi abbiamo demolito la casa che c’era prima per fare dieci appartamenti. Con tanto di licenza”. E non ha alcun rimorso Briguglio padre che a 77 anni sbotta, non solo contro Bertolaso: “Finiamola con ’ste speculazioni. Tutti a parlare di abusivismo. Financo l’amico mio Peppino Buzzanca, il sindaco di Messina. E che scinnio (è sceso) dalla luna ora ora? Non era alla Provincia prima? Non le vedeva le case, da presidente? Io ci voglio bene a Peppino. Tutti ce ne vogliamo”. E guarda Calabrò , l’ingegnere che lo ebbe come testimone di nozze. “Che matrimonio. C’era pure il cugino importante”. Briguglio il deputato? “No, Nania, Mimmo Nania, il senatore”. Di rapporti, relazioni e parentele si parla con un sorriso compiacente, incrinato dalle notizie sulla Procura che apre l’inchiesta sul disastro colposo. Colpe? Qualcuno ha qualcosa da rimproverarsi? Il costruttore allarga le braccia. Il sindaco pure. L’ingegnere appare poco poco turbato. Ma l’ex sindaco che firmò tranquillizza: “Normale è. Sempre giusto è fare un’inchiesta. Qua però tutti con carte e mani pulite siamo”.
Così a Scaletta l’unico con le mani sporche di fango resta l’ingegnere Vincenzo Andò che, nella sua divisa da vigile del fuoco, incrocia Bertolaso, indica le ruspe al lavoro e l’acqua che irrompe: “Restituiamo al torrente il suo letto naturale”. Ma forse se l’è ripreso da solo. Nel peggiore dei modi.