L’11 agosto 1944 Firenze venne occupata dall’invasore angloamericano perché era stata sguarnita dai nostri soldati che si stavano attestando su di una linea di fronte più a settentrione. Ma vi si resistette con caparbietà, con audacia e con onore. I franchi tiratori, immortalati anche grazie a La pelle di Curzio Malaparte, dimostrarono che la città di Pavolini, il capoluogo di quel Granducato di Toscana, come sarebbe stata definita la RSI per la grande partecipazione che la regione di Dante diede alla Repubblica, non sarebbe caduta senza colpo ferire. Centinaia di fiorentini di ambo i sessi e di tutte le età spararono dalle finestre, dai tetti, dagli angoli delle strade, inchiodando al suolo il nemico e le bande partigiane al suo seguito. Non avevano alcuna speranza di sopravvivenza perché, una volta presi, sarebbero stati fucilati. Gli ultimi soldati ad abbandonare il capoluogo toscano provarono a convincere i franchi tiratori più vicini a mettersi in salvo con loro. “La consegna – risposero – è quella di morire sul posto”. E così fecero.
Apprendiamo con gioia che Casaggì Firenze ha reso onore a questi eroi e che oggi stesso sarannno deposti fiori sulle loro tombe.
I figli e i nipoti della vergogna sono invece insorti perché non vorrebbero affatto che quel fulgido esempio venisse ricordato: la grandezza è mal sopportata, e con astio, dai piccoli e dai mediocri.
Il generale Alexander già a suo tempo aveva risposto in modo più che esauriente a questi infelici. “La città italiana che preferisco? Firenze. Perché lì gli italiani ci hanno accolti sparandoci addosso”.