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La Roma di Mourinho

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Qualcuno mi chiede cosa penso di questa Roma che ha vinto la Conference. Varie cose.

 

PRIMO, benché nessuna categoria sia esente dal fenomeno d’involuzione collettiva, quest’anno la tifoseria romanista è tornata ad assomigliare a se stessa, una cosa che si era smarrita da tempo immemore e già questa è una vittoria. Lo scrissi dopo l’umiliante 0-3 con l’Inter sotto Natale: quella che non smise mai di cantare e di sostenere una squadra fantasma sembrava davvero una tifoseria romanista come lo fu nella storia e questa è una resurrezione che dobbiamo a Mourinho.

SECONDO, il calcio di Mourinho mi entusiasma. Si dice che non sia bello, che sia poco propositivo, pochi fronzoli ecc ecc. Grazie a Dio!
A parte che le statistiche dei tiri in porta, delle occasioni di rete ecc, quanto meno da fine gennaio danno più ragione che torto alla Roma che gioca all’italiana, per me questo è il Calcio in assoluto.
Sarà che dopo una breve parentesi in porta (16-17 anni) sono stato sempre difensore, ma il calcio per me quello è: usare forza, applicazione e intelligenza per neutralizzare l’avversario e trafiggerlo alla prima occasione (gladio, non spadone…)
La squadra che più mi ha eccitato guardare fu il Milan di Rocco, ancor più dell’Inter di Herrera, anch’essa magistrale nel contropiede e letteralmente entusiasmante. Quelle che più mi annoiano sono le squadre di Guardiola, di Luis Enrique e di altri “allenatori totali”. Concentrazione, scontro (Rocco ai tempi del Padova diceva “se dovessi mancare lo stinco colpirai la palla”) e verticalizzazione: tutto il resto è noia o, come dice mio figlio, poca virilità
D’altronde (leggere Carlo V) così eccellevano nel combattimento gli italiani e il calcio è un’allegoria della guerra (ma anche dell’arte e dell’eros in fondo, ed ecco perché, malgrado la stupidità generale, ha ancora quel suo non so che di futurista).

TERZO La Conference Cup sarà anche una coppa non eccelsa, ma erano 61 anni che non ne vincevamo una in Europa (il primo anno in cui mi interessai di calcio), il che fa meno notizia dei 12 anni del gravissimo digiuno dei clubs italiani – digiuno che ieri abbiamo interrotto (da una coppa vinta da Mourinho a una coppa vinta da Mourinho…). Perché la Roma non è mai stata nel gotha dei grandi.
Se ti affezioni e tifi per la tua bandiera anziché optare per una big, “vinci” poco. Ma non dipende da te e poi chi “vince” perché tifa per una società blasonata non ha particolare merito né alcuna ragione per guardarti con sufficienza (e ho amici del Real Madrid e del Psg che sono in soggezione con noi ammirati dal calore del nostro tifo); da te dipende invece assumere una mentalità che non contribuisca a far marcire l’ambiente e quindi a far vivacchiare la squadra. La passione travolgente a Roma ha prodotto tante radio private da cui è emersa quella mentalità pentastellata antelitteram di rivendicazioni individualiste e plebee che hanno fatto degenerare la tifoseria. “Vincete per noi” avevano imparato a scandire: fottetevi! Siete voi che dovete soffrire e lottare per la squadra che non vi deve niente. Ognuno di noi non dev’essere un consumatore o un critico o un sobillatore perché il fatto è semplicissimo: o sei un fedele o non sei nessuno.
Ma di questo ho già trattato nel primo punto.
Torniamo a noi: io mi godo eccome questa coppa! Che mi crediate o meno, aggiungo che non me la godo di più se certuni mi servono assist perfetti quando vanno d’aceto e rosicano, perché, come insegna Nietzsche, io non faccio lo scaccia mosche. Me la godo, quindi, ma con sobrietà, pensando alle prossime battaglie che, quale che sia l’esito che avranno, saranno mie se combattute con questo spirito romanista infine ritrovato dopo decenni e con questo gioco tanto criticato perché virile, asciutto e politicamente scorretto.
E tant’è. Se seguiranno altre vittorie lo vedremo, per ora la vittoria è su di noi.
La Roma di Mourinho ci ha restituiti a noi stessi, nel tifo e nel gioco tradizionale (non uso la T maiuscola ma ne sarei tentato…) e questo basta e avanza, perché  è il significato esatto di Felicità: stare in ordine con la propria natura. Più di così?
Mi astengo da riflessioni su come se ne potrebbe estrarre un’allegoria ri-voluzionaria perché credereste che non sono serio.

Gabriele Adinolfi

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