Adriano Romualdi a trent’anni dalla scomparsa. La via rivoluzionaria alla Tradizione.
Invictis Victi Victuri
Gli Dei amano chi muore giovane, diceva l’antica saggezza.
Gli Dei amarono Adriano Romualdi, recidendone il filo rosso della vita terrena nel fiore degli anni, della virilità, dell’impegno intellettuale e politico.
Così agendo lo consegnarono alla Storia e alla memoria di noi posteri, condannati a vivere o, forse, sopravvivere fino a questa livida alba di sangue del Terzo Millennio cristiano.
Sono passati già più di trenta anni da quel giorno e siamo usciti dal clima delle pur doverose commemorazioni; che del resto si sono ridotte a qualche articolo ed a un paio di conferenze fatte da chi ebbe la fortuna di conoscerlo personalmente e da chi, come il sottoscritto, conobbe il figlio di Pino Romualdi soltanto dai suoi scritti. Articoli e libri però che, come quelli di Evola e pochi altri, sepperoaprire alle menti e ai cuori di noi allor giovani lettori scenari inediti e visioni evocatorie.
Ci colpiva certo la sua cultura enciclopedica che spaziava dalla Storia al Mito, dagli studi sul retaggio indoeuropeo alle fredde, lucide eppur partecipi analisi dei grandi pensatori del passato e nostri contemporanei: Nietzsche, Evola, Günther.Una cultura che comunque nulla aveva a che spartire con quella “intellettualistica” di evolomani o nietzchiani che hanno continuato a pontificare ex cathedra, senza mai tradurre lo spessore culturale in prassi politica e/o esistenziale.Semplici chiosatori di opere di cui comprendevano tutto escluso lo Spirito che le animava.
Ci colpivano e un poco ci infastidivano le lunghe citazioni in tedesco non tradotte, perché allora non capivamo l’importanza di darsi una rinnovata forma mentis, anche attraverso la lingua, che contrastasse la pseudo-cultura impostaci dagli occupanti; prima di tutto proprio con l’inglese americanizzato e che oggi è materia obbli