Un mio coetaneo, che conosco da oltre cinquant’anni e con cui ci siamo divertiti in passato contro avversari agguerriti, mi chiedeva come mai ci siano tanti altri boomers che – parole sue – hanno perso la bussola appresso a Putin o a buffonate tipo Venezuela e Corea del Nord.
Che poi non sono stati gli unici, perché sia loro che molti altri, si sono trasformati in anti-europei e in difensori inaciditi di un qualche fondamentalismo, religioso o meno, attraverso il quale vedono tutto ovunque come identico e perennemente incluso in qualche schema duale che alimentano da soli.
Tra questi i filorussi si distinguono perché hanno trovato il loro settimo cavalleggeri che dovrebbe provvidenzialmente salvarli da qualcosa e hanno trasferito su di esso il miracoloso avvento del proletariato di comunista memoria.
Una prima risposta – sia pure su una questione analoga (la sconfitta imminente del Capitale…) me la diede qualche anno fa un boomer illustre, che non nominerò: “prima di morire, mi vuoi lasciar aggrappare a una speranza?”.
Io direi di no, perché la speranza inganna e quel che è conta solo la fede.
Ma non c’è solo quello. La fede per avercela deve essere saldamente legata a qualcosa.
Molti dei nostri coetanei sono (stati?) bravi nella reazione sentimentale e umana, ma si sono mai chiesti davvero da dove vengono, chi e cosa dovrebbero rappresentare, o erano soprattutto dei rivoltati in contestazione delle autorità, prese in quanto tali e non per quello che rappresentavano?
Nel loro reagire si chiesero cosa potessero anche costruire e provarono ad andare oltre il semplice lato umano che, con il passare degli anni, ci ha trasformati in comitive nostalgiche della foresta di Sherwood?
Perché noi con il tempo siamo passati dai Reduci della difesa di Berlino (che ci diedero l’identità) a quelli di Valle Giulia e infine ai reduci dei Campi Hobbit. Dalla difesa del padre alla rivolta contro il padre, dalla tragedia epica a qualche giochetto.
Oggi si trovano in una una sorta di “Come eravamo”
in cui i sopravvissuti vogliono disperatamente imporre gli schemi della loro gioventù, quelli della rivolta non riuscita, della rivoluzione che non è stata fatta. Al punto dall’essere infine diventati tifosi delle rivoluzioni altrui senza essersi resi neppure conto che quelle fallirono mentre fummo proprio noi a non fallire, perché, per istinto, non inseguivamo vittorie impossibili ma volemmo impedire che ci s’impedisse di affermare la nostra fierezza e la nostra libertà. Che pagammo ad alto prezzo perché ciò che vale lo si paga. E fummo fieri della nostra fierezza e liberi anche e talvolta soprattutto nelle galere.
Credo che sia nel non avere compreso questo il segreto della perdita di bussola di molti boomers. I quali sono perfino coerenti a modo loro, perché, non rivoluzionari ma rivoltati, si schierano sempre per andare apparentemente controcorrente. Che poi sono come gli “anticonformisti” del Sessantotto, i più conformisti d tutti perché – anche se non se ne accorgono – stanno seguendo gli input delle dirigenze mondiali e dei padroni della nostra terra, ripetendo il loro mantra di sempre e rinforzandone lo schema.
A modo loro sono coerenti
perché un rivoltato non è mai stato un rivoluzionario se non ha compiuto un percorso ulteriore, e non è mai stato verticale e stabile di per sé se non si è formato. Smettono però la loro coerenza quando chiudono gli occhi su tutto quello che l’oggetto del loro transfert rappresenta in antitesi storica, geografica, ideale, simbolica, lessicale, estetica, comportamentale, rispetto a noi. E il bello è che non lo nasconde, sicché risulta loro difficile tenere il punto senza mentirsi, senza incattivirsi, senza ingiuriare, senza calunniare. Sono meccanismi obbligati per tirare avanti con rabbia quando non si hanno la forza d’animo e l’onestà intellettuale per ammettere l’errore e cambiar rotta.
Sarò poco popolare per quello che sto per dire
ma io ritengo che se questa strada sbagliata ha ingenerato le peggiori bassezze intellettuali e morali, tra cui spiccano le derisioni e le calunnie verso chi combatte sotto le stesse insegne che furono le loro e contro quelle che appartengono a coloro che a suo tempo li hanno combattuti e hanno assassinato i loro camerati, non più del venti per cento di quelli che l’hanno intrapresa sono da considerarsi irrecuperabili a una rinnovata normalità.
Non parlo ovviamente dei troppi segaioli nel web che non hanno mai militato al di là di una sbornia triste e rappresentano il grosso dei tafani pro Putin, quelli non sono mai esistiti, parlo di chi ha dimostrato in passato di valere qualcosa. A costoro è mancata una vera coscienza, per colpa della repressione e anche per i limiti operativi di coloro che, avendone le capacità e la competenza, dovevano agire per la formazione, per sublimare il rivoltato nell’aspirante rivoluzionario, l’antagonista nel protagonista, il sedizioso nel ricucitore, l’angosciato dal presente nel ponte tra passato e futuro, il borghese inacidito, individualista, relativista e con “opinioni” in chi risponde innanzitutto agli imperativi di onore e fedeltà.
Molti di questi che
hanno preso la sbandata appresso ai denazificatori, alle falci e martello, alla CCCP, all’imperialismo, all’esaltazione di Jalta, alla spartizione europea, ai “bei tempi quando c’era il Muro”, ai carri armati russi che schiacciano i popoli vicini, ormai lo fanno perché non riescono più a dirsi quanto sono stati sciocchi a iniziare, ma non credo che se si trovassero un giorno a toccare con mano quello di cui parlano non si schiererebbero in pochi minuti dalla parte giusta.
Già ho notato diverse persone che hanno avuto il coraggio di aprire gli occhi e di cambiare coraggiosamente posizione, Ne vedo tantissime mitigare quelle che avevano.
Prima o poi il grosso si lascerà alle spalle questo equivoco, a prescindere dall’esito del conflitto perché l’esito alla fin fine è secondario, e solo chi è sporco dentro, e che per tale si sarà rivelato nei modi, non riuscirà a mondarsi come spesso accadde in passato.
Non dico questo perché ci sia bisogno di loro
(per fare cosa poi?) ma perché sono francamente dispiaciuto nel vederli ridotti così, a doversi imporre di tifare per chi assassina i fascisti in quanto fascisti solo perché gli assassini sarebbero antioccidentali (e neppure più antiamericani) e tutti quelli che difendono la propria terra sarebbero “asserviti” (miserie etiche e verbali da partiti comunisti). Credo sinceramente che si meriterebbero di meglio che tramontare senza più una fede e avendo mantenuto del passato soltanto un grido di rivolta.
Siccome credo nell’inesorabilità della prova dei fatti
e ogni giorno che passa tutta la costruzione mentale dei filorussi viene meno tanto dall’avere lasciato ormai il passo solo al rancore e a un aggregato sentimentale, non vedo molto futuro per questa devianza. E auguro, più a loro che a me stesso, che quelli che si sono fatti trascinare dall’emozione riescano a riconvertirla verso quello che dovrebbero essere.
Che non significa affatto stare dall’una o dall’altra parte della falsa contrapposizione dei blocchi, ma sempre da quella nostra, ravvisabile e unita nel tempo, nello spazio e nella continuità.
Altrimenti invece di aggrapparsi a una speranza prima di morire, saranno sepolti in una distopia. E questo è un peccato.