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L’epidemia prossimo ventura

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I primi segnali dalla Città Studi di Milano

E’ arrivato in queste settimane da Milano l’ultimo allarme: nella scuola elementare Leonardo Da Vinci, una delle più grandi della città, è scoppiata una piccola epidemia di tubercolosi. Su circa 900 bambini che frequentano l’istituto, 12 hanno sviluppato la malattia e 155 sono risultati positivi al test di Mantoux, che indica la presenza del batterio, che può tuttavia restare in forma latente per molti anni e persino non manifestarsi mai. La fonte iniziale del contagio si è preteso essere un clochard che per qualche tempo ha frequentato i giardini dell’ampia piazza Leonardo, antistante la scuola. Ma i medici che seguono la vicenda hanno ancora molti interrogativi su come il batterio abbia potuto raggiungere l’interno dell’istituto e diffondersi, dato che il contagio non è poi così facile. Di certo c’è invece che, prima di questo episodio, ai genitori della Leonardo termini come “tisi” o “mal sottile” potevano richiamare al più suggestioni letterarie d’altri tempi. Ora, invece, la tubercolosi  è lì e per le strade di Città  Studi, il quartiere della scuola, non si parla d’altro.
DIFFUSIONE – Ma la vicenda milanese non è unica. Ogni anno in Italia sono notificati al Ministero della Salute circa 4.500 nuovi casi di tubercolosi, per lo più nel Centro-Nord, con Milano e Roma a guidare la classifica delle città  più colpite. “Si tratta però di una sottostima, perché non tutti i malati ricevono una diagnosi – fa notare Giorgio Besozzi, direttore del Centro per la tubercolosi Villa Marelli, che fa capo all’Ospedale Niguarda di Milano -. Più realisticamente, i casi potrebbero essere sette-ottomila all’anno, con un’incidenza che comunque é bassa rispetto a quella che si registra in altri Paesi”. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità  (Oms), ogni anno la tubercolosi uccide nel mondo due milioni di persone, mentre i nuovi casi sono nove milioni e mezzo. Con il 55 per cento dei malati, l’Asia è il continente più colpito; ma il Paese con l’incidenza più elevata è il Sudafrica, dove si contano 700 casi ogni 100mila abitanti. Con un’incidenza che non raggiunge i dieci casi per 100mila residenti, la tubercolosi resta in Italia una malattia piuttosto rara. Che però desta preoccupazione, soprattutto perché il nostro Paese, dopo averla apparentemente sconfitta con gli antibiotici e la prevenzione, ha ormai dimenticato come gestirla. Per predisporre un piano idoneo a fronteggiarla, il 23 marzo prossimo, a Roma, si incontreranno medici, politici e rappresentanti delle istituzioni. Il giorno successivo sarà  la Giornata mondiale della tubercolosi, un evento organizzato ogni anno dalla partnership internazionale Stop Tb, sotto l’egida dell’Organizzazione mondiale della sanit? .
I PROBLEMI – “L’Oms mette la disponibilità  politica al primo posto dell’agenda per combattere efficacemente questa malattia – riprende Besozzi -. E in Italia, i nodi da affrontare sono diversi”. Li elenca Luigi Codecasa, responsabile del Centro regionale di riferimento per il controllo della tubercolosi in Lombardia: “Ci sono pochi medici capaci di riconoscere la tubercolosi, che può essere confusa con altre malattie e viene spesso identificata tardi. L’argomento, infatti, era quasi uscito dalle facoltà  di medicina e al personale sanitario oggi manca l’esperienza necessaria. Inoltre, i vecchi strumenti di sorveglianza epidemiologica, come gli screening con il test di Mantoux nelle scuole o fra i militari di leva, sono stati abbandonati e non si sono messi a punto metodi alternativi. Sulla tubercolosi, insomma – prosegue Codecasa -, non c’è un’attenzione sufficiente neppure da parte dei medici. E’ significativo, in questo senso, notare che il test per verificare la presenza del batterio andrebbe sempre eseguito prima di intraprendere cure con farmaci che interferiscono con il sistema immunitario, perché questi medicinali potrebbero far uscire la malattia dalla latenza. In molti casi però il passaggio sfugge, anche se l’esecuzione del test costa pochissimo”.
TRASMISSIONE – Una lotta più efficace contro la tubercolosi nel nostro Paese è necessaria anche perché, sebbene da una decina di anni il numero di casi sia stazionario, in futuro la situazione potrebbe cambiare, anche per via dell’incremento dei flussi migratori. “Già  oggi la metò  dei casi  è diagnosticata in persone immigrate, che provengono soprattutto dai Paesi dell’Est e dal Nord Africa – riprende Luigi Codecasa -. Occorre sorvegliare i luoghi in cui la trasmissione è più facile, come i dormitori per i senzatetto, le carceri e gli ospedali, dove possono essere ricoverati malati che non hanno ancora una diagnosi. Ma va comunque ricordato che i casi di trasmissione da immigrati a italiani non sono frequentissimi e talora, anzi, abbiamo verificato il contrario. A questo proposito  è importante notare che la malattia non ha relazioni tanto con la clandestinità  quanto con il disagio e la povertà”. Una volta identificata, la tubercolosi si cura con gli antibiotici e la terapia è poco costosa. Ma la presenza di ceppi batterici che non rispondono ai farmaci è in aumento e rappresenta un ulteriore motivo di preoccupazione. Nel mondo, il 12 per cento dei malati non può essere trattato con i farmaci più efficaci. In Italia, secondo l’ultimo rapporto del Ministero della Salute, i ceppi batterici resistenti sono circa il tre per cento. Ma sono in crescita costante.
Insomma ci avvertono con cautela ma poi diranno “ve l’avevamo detto”. La rivoluzione “spontanea” del Nord Africa, benedetta da tutte le Caritas, si appresta a portarci epidemie spaventose.

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