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Li hai messi in banca

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290 miliardi tedeschi per salvare le chiappe agli istituti finanziari

Europa, quanto ci costi. Molti tedeschi la pensano così, e in base alle cifre non hanno tutti i torti. Dato che di solito i contributi dei singoli Paesi dell’eurozona o della Unione europea in generale sono calcolati e decisi in proporzione al Prodotto interno lordo (Pil) di ogni Paese, è ovvio che le somme più alte in assoluto cadano sulle spalle del contribuente tedesco. Però a volte costi pesantissimi vengono creati da esigenze nazionali. Soprattutto dall’imperativo postosi fin dalla crisi del 2008-2009 di salvare le banche tedesche.
Lo afferma un rapporto del Fondo monetario internazionale, di cui parla stamane la Sueddeutsche Zeitung. I finanziamenti con cui il governo federale, dal 2008-2009 a oggi, ha più volte salvato istituti di credito nazionali, equivalgono a una somma fino a 290 miliardi di euro, cioè circa l’undici per cento del Pil. Soltanto in Grecia e in Irlanda, Paesi che rispettivamente affrontano e hanno affrontato una grave crisi e non sono certo nella solida situazione della Germania, i costi del salvataggio delle banche in proporzione al Pil sono superiori a quelli tedeschi.
Secondo l’analisi del Fondo monetario internazionale, è paradossalmente la prudenza sostanziale e formale di Berlino ad averle causato un tale aumento dei costi. Mentre negli Stati Uniti alcune banche in difficoltà sono state ricapitalizzate a forza o nazionalizzate, la leadership politica tedesca – pur avendo acquisito temporaneamente nel 2008-2009 parte dell’azionariato di Commerzbank – ha di solito evitato interventi così drastici ritenendoli in contrasto con le regole dell’economia di mercato. La cui interpretazione a volte dogmatica da parte tedesca (così come Berlino e la Bundesbank interpretano in modo apparentemente dogmatico l’imperativo del rigore sottovalutando il rischio recessione) ha portato a questo decollo dei costi del soccorso alle banche nazionali. Germania, quanto costi a te stessa.

 

 

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