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Liberi tutti

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La legge Bossi-Fini si rivela un il flop clamoroso. Tutti liberi i clandestini arrestati. Per una mostruosità burocratica, i poliziotti non possono fare altro che arrestare e i magistrati non possono fare altro che liberare.

MILANO – Fax che vengono, fax che vanno. Fax che si incrociano nella notte italiana e che raccontano il surreale fallimento di una legge che non poteva fare altro che fallire. Un fallimento decretato dalle centinaia di fax con cui poliziotti, carabinieri, vigili urbani annunciano alla magistratura l’arresto centinaia di stranieri. E che la magistratura mette in libertà la sera stessa o, al più tardi, la mattina dopo. L’aspetto surreale è che i poliziotti non possono fare altro che arrestare, e i magistrati non possono fare altro che liberare. Ognuno fa il suo dovere. Il risultato è una montagna di carta sprecata, una montagna di soldi buttati via, un gorgo che intasa commissariati e aule di tribunale. Arricchisce le statistiche delle forze dell’ordine e le tasche di qualche avvocato. Ma non cambia di una virgola la realtà. La fa semplicemente più assurda.

A dirlo non sono le toghe rosse di Magistratura democratica. Sono i pubblici ministeri che, in ogni luogo d’Italia, passano le lunghe ore del turno esterno a smistare le carte inutili di questo nuovo reato.
Il nuovo reato sta all’articolo 13 della legge 189 del 2002, meglio conosciuta come legge Bossi-Fini. È la legge che, mantenendo una delle promesse elettorali sia della Lega che di An, doveva dare una sterzata rigorosa alle norme sull’immigrazione volute dai governi dell’Ulivo. Di quella sterzata, l’articolo 13 costituiva uno dei cavali di battaglia. “Lo straniero espulso che viene trovato nel territorio dello Stato è punito con la reclusione da uno a quattro anni”. E poi, subito dopo: “È obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto e si procede con rito direttissimo”.



Letto così, quando la legge venne varata, faceva impressione. Si immaginavano migliaia di stranieri, renitenti all’ordine di espulsione, venire arrestati, processati, incarcerati. Per una parte degli italiani era uno sogno che si realizzava. Per una parte era un incubo o quantomeno una visione sgradevole. Beh, non è arrivato niente di tutto questo. È arrivata solo una catastrofe poliziesca, burocratica e giudiziaria che intasa inutilmente l’apparato repressivo dello Stato. In tutte le maggiori città del paese, in un giorno qualunque, più della metà del lavoro di Volanti, gazzelle e pubblici ministeri è dedicato a questa gigantesca finzione di repressione.

Ecco come vanno, nella realtà, le cose. La pattuglia dei carabinieri ferma uno straniero per un controllo. Lo identifica – dal passaporto o dalle impronte – e scopre che è già stato espulso dall’Italia, e non ha obbedito all’ordine. Scatta l’arresto, obbligatorio e immediato. Dalla centrale operativa, viene avvisato il pm di turno. A quel punto, i casi sono due. Alcuni pm ordinano immediatamente di rilasciare il fermato, ritenendo illegittimo il fermo. Altri – e sono, a occhio, la maggioranza – autorizzano il fermo, e ordinano di portare in aula la mattina dopo il renitente all’espulsione per il processo per direttissima. E la mattina dopo, in aula, dopo una notte in guardina, lo straniero viene liberato per ordine del magistrato. Per i motivi più vari: perché viene assolto, perché il processo viene rinviato di qualche giorno, perché patteggia una pena di un paio di mesi con la condizionale. La sostanza non cambia.

L’unica cosa certa è che il fermato non può finire in carcere, perché ha commesso non un delitto ma una contravvenzione, e

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