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L’incontro di Piazza Venezia

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Il resoconto di Pax Mediterranea

Il 10 giugno 2011 in Piazza Venezia, nella storica Sala Imperatori, si è tentuto il convegno internazionale “Pax Mediterranea” indetto dal Centro Studi Polaris.
Il convegno ha ottenuto il patrocinio per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) in collaborazione con l’Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni (OIM).
Il dibattito ha avuto l’apporto trasversale di relatori di varia provenienza, sia in quano ad appartenenza politica, sia come nazionalità o religione.
Nella diversità dei punti di vista si sono però notate alcune convergenze su leit motif positivi e anche su alcune critiche di fondo all’attuale gestione internazionale.

Così introduceva il convegno Polaris:
I conflitti nel Mediterraneo. I flutti migratori caotici. La delocalizzazione delle imprese e la disoccupazione. La trappola degli “scontri di civiltà” e il loro legame con la Via della Seta, oggi arteria della droga. I conflitti energetici.
Per soluzioni ottimali servono cooperazioni fiere e non delegare tutto a regolamentazioni sovranazionali né attenersi pigramente a tutti i preconcetti del modello dominante.
Fantasia al potere; nel solco armonico delle rispettive tradizioni.
Sulla stessa base parlava il presidente Paolo Caioli che dava poi la parola i primi relatori

”Il futuro dell’Italia e dell’Europa, con le sfide energetiche e migratorie drammaticamente in campo, è legato al futuro del Mediterraneo”. Diceva quindi l’on. Riccardo Migliori (deputato del Popolo della Libertà), presidente della Delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare dell’Osce. “Tra il 2000 e il 2010 ogni anno sono stati investiti nei Paesi del Mediterraneo 60 miliardi di dollari, soprattutto nella sponda Sud. La sola Cina, nel 2008, ha speso in quell’area 4 miliardi di euro in infrastrutture, industrie chimiche e altri investimenti. Questi sono dati che devono far riflettere. Oggi l’Europa ha il 23% del Pil mondiale ma le proiezioni al 2050 lo danno al 15%, se però si unisce a quella dei Paesi delle sponde sud del Mediterraneo si passa a un 35%. Ad oggi non è poi chiaro dove si dirigeranno le rivolte: verso Istanbul, Teheran o verso Roma? Bisogna spingere per un partenariato tra i Paesi del Mediterraneo. L’Italia deve vincere la sua tradizionale pigrizia Invitiamo il Governo a riflettere sulla opportunità di costruire e convocare a Roma una grande conferenza per il nuovo Mediterraneo, atta a ribadire il ruolo strategico e di guida dell’Italia nell’area.”.

“Il Mediterraneo non è un mare che divide ma che unisce, questa è un’affermazione importante – ha sottolineato il senatore del Partito Democratico e generale Mauro Del Vecchio, membro della delegazione parlamentare italiana presso l’Osce- perché l’area del Mediterraneo ha visto nei millenni lo scambio di culture, idee, religioni e modi di vivere diversi. Tutto il mondo guarda con grande attenzione al bacino del Mare Nostrum, da sempre culla del mondo. Noi, come Europa, possiamo fare molto”. Del Vecchio ha poi citato la sua personale esperienza: “ho vissuto in prima persona nei Balcani nei momenti di crisi”.

Secondo il direttore per il Mediterraneo dell’Oim, il venezuelano José Angel Oropeza,  il numero di migranti che arriveranno in Europa a seguito alle rivolte arabe è destinato ad aumentare notevolmente nei prossimi mesi. “E’ difficile prevedere l’intensità di questi flussi – spiega Oropeza – ma, se consideriamo la Libia, è evidente che qualunque sia l’esito di questo conflitto ci saranno profughi che cercheranno rifugio in Europa e in Italia. Ma anche altri Paesi sono potenziali serbatoi di migranti in partenza verso l’Europa. Dalle informazioni in nostro possesso, sappiamo che in Yemen e in Siria ci sono moltissime persone in movimento, come pure nel corno d’Africa. Senza considerare la Costa D’Avorio, dove un milione di persone sono fuggite durante la crisi politica, e di queste solo 200mila hanno fatto ritorno nel Paese.”

“L’espressione coniata dai media ‘Primavera araba’ – sostiene Alex Voglino, direttore regionale alla cultura per la Regione Lazio – lo ritengo altamente fuorviante, si dovrebbe parlare di ‘Autunno dei patriarchi’. Inoltre la tesi della mobilitazione via web non mi pare che regga. Lo sviluppo di internet nei Paesi del Nord Africa è minima, credo piuttosto che a spingere le rivolte sia stata la fame. Tra il 2010 e il gennaio 2011 i prezzi di grano e frumento sono enormemente cresciuti per cause di speculazioni globali e ciò ha inciso in maniere significativa sui Paesi del Nord Africa, un’area del mondo tra le meno autosufficienti da un punto di vista alimentare”. Voglino ha quindi puntato l’indice sulle borse, gli speculatori e la globalizzazione.

Eì stata poi la volta di Gianfranco Lizza, docente  di Geografia Politica ed Economica alla Sapienza di Roma, il quale ha sottolineato il ruolo delle multinazionali e il momento di passaggio in cui ci troviamo tra crisi di trasformazone delle democrazie occidentali e riproposizione  di un modello orientale il che ci pone di fronte a non pochi interrogativi. “Gli scontri della nostra politica interna – ha detto inoltre – spesso non danno spazio ai fatti internazionali e questo scarso approfondimento ai problemi del Mediterraneo non e’ consono al ruolo centrale che dovrebbe avere il nostro Paese”. E sulle rivolte in Nord Africa crede che sarebbe necessario “un intervento europeo congiunto con un ruolo centrale, data la sua posizione, dell’Italia”.

L’opinionista di Al Jazeera e collaboratore di France 24, Samir Qaryouti, ha affermato di propendere a favore della tesi della spontaneità delle rivoluzioni nord-africane sostenendo che nascono da un contesto assai complesso e che soffrono dell’endemica questione israelo-palestinese.
“Non ci sarà mai pace – ha concluso – finché non sarà riconosciuto uno Stato palestinese indipendente”.

Paolo Guerrieri, docente di Economia internazionale all’Università La Sapienza, ha sottolineato come l’economia dei Paesi arabi del Mediterraneo abbia notevoli opportunità. Ma assolutamente non sfruttate, anche perché i vari regimi hanno preferito non valorizzare le potenzialità dei rispettivi Paesi, nella convinzione che una crescita economica avrebbe favorito una crescita politica delle popolazioni.

Restano comunque le potenzialità, particolarmente interessanti proprio per un Paese come l’Italia che, secondo il giornalista del Sole 24 Ore, Augusto Grandi, deve vedere nel Bacino del Mediterraneo le stesse opportunità che l’Europa dell’Est ha offerto alla Germania. La produzione italiana sta incontrando difficoltà  sui mercati europei e può  invece trovare sbocchi interessanti in Africa del Nord, ma anche in Asia, partendo dalla Turchia per proseguire verso mercati sempre più interessanti come Kazakistan e Uzbekistan.

Il dirigente nazionale della Ugl telecomunicazioni, Stefano Conti, ha poi denunciato l’avidità cieca e il comportamento da locuste dei grandi gruppi economici globali che, con delocalizzazioni successive, stanno distruggendo le economie dei vari Paesi apportando fame, disagio sociale e disarticolazione socioeconomica.

Il rappresentante della Mezza Luna Rossa palestinese, Youssef Salman, ha fatto luce su tutta una carrellata di luoghi comuni sulla questione palestinese completamente falsati. Ed ha elencato alcuni casi di pura macelleria degli inermi che si sono registrati a Gaza.

Suor Deema Fayad monaca del monastero di Deir Mar Musa (Siria) ha rilevato come nella sua terra le religioni convivano armoniosamente, con intercambio e senza particolari contrasti; cosa dunque non impossibile. Qualcuno dalla sala ha ricordato che lo stesso avveniva in Iraq al tempo del partito baa’t (analogo del partito baa’s oggi al governo a Damasco) e che dopo l’intervento dell’occidente si sono invece generati intolleranza e stermini in nome di vari fondamentalismi.

Un saluto alla sala è stato poi rivolto da Novber Ferit Vechi, Rappresentante della Repubblica di Cipro Nord che ha poi ceduto al parola a Murat Ozkaleli, docente di Relazioni Internazionali alla European University of Lefke che ha cantato le lodi della Romanitas e ha segnalato l’assurdo della sua isola, Cipro, divisa di fatto, e per la quale non si cerca alcuna soluzione, preferendo ignorare l’esistenza di un conflitto fuori dal tempo. Il cointeresse energetico tra Israele e Cipro sud non sembra aiutare a trovare la via del buon senso. Sicché i ciprioti del nord, che pure hanno votato per un ricongiungimento federale con il resto dell’isola, vivono considerati internazionalmente come dei fantasmi.

Il docente di lingue e letterature orientali Ermanno Visintainer ha presentato l’opera da lui curata e edita in Italia da Vox Populi sul pensiero di Ahmet Davutoglu, ministro degli esteri turco, che ha proposto una svolta secca rispetto alla politica degli ultimi decenni, abbandonando la priorità “europeista” di Ankara e proponendo la Turchia come nuovo polo vicinorientale, strategicamente ed energeticamente alleato di Europa e Russia (da cui la preferenza espressa alla pipeline South Stream rispetto alla Nabucco) pertanto meno allineato su Washington, nonché in attrito con Tel Aviv.

Il giornalista di Géostrategie (Francia) Gilbert Dawed, ha voluto sottolineare come le cosiddette rivoluzioni arabe siano soltanto delle rivolte che sono, a suo avviso, in gran parte teleguidate fino a nuocere alla causa araba e a quella mediterranea. Ha anche presentato il libro, da lui edito, “Capire le rivolte arabe” scritto da Pietro Longo e Daniele Scalea.

La particolare situazione spagnola è stata messa in luce dal giornalista di Europae Enrique Ravello.
La Nazione iberica subisce  la dipendenza dei suoi principali partiti dall’estero (il Partido Popular dipende da Londra e in parte da Washington mentre il Partido Socialista Obrero Espanol fa capo un po’ a Parigi e un po’ a Francoforte). Per queste ragioni la Spagna cede spesso ai ricatti.
Esiste poi un lunga tradizione, non interrotta neppure nel post-franchismo, di non collaborazione con Israele che la Spagna riconobbe solo al momento di entrare nella UE, che ha contribuito a isolare Madrid nel all’veo occidentale.
Di ciò s’approfitta il Marocco, che ha ottime relazioni con Usa, Inghilterra ed Israele e, con le minacce su Ceuta e Melilla e con improvvise valanghe migratorie, ottiene dalla Spagna una serie di cedimenti politici e commerciali – avallate dalla UE – dimsotrando così come le migrazioni possono essere armi politiche e persino belliche.
Ha soggiunto che l’Europa per contare qualcosa dovrà svilupparsi intorno a tre poli; uno su Mosca, un altro, il cosiddetto “polo carolingio” francotedesco, e infine un asse mediterraneo Madrid-Roma-Atene.

In chiusura il caporedattore della rivista Polaris, Gabriele Adinolfi, ha voluto rimarcare come gli “scontri di civiltà” assumano colori differenti a seconda dei diversi rapporti di forza, da cui dunque in verità dipendono, e ha sottolineato quanto siano animati da interessi geopolitici e persino dal narcotraffico. Ha ricordato i massacri subiti in Kosovo dalle minoranze serbe con il silenzio delle sitituzioni sovranazionali che non sembrano efficaci. Ha poi richiamato l’attenzione sul fatto che ci si trova in un momento di passaggio tra il vecchio modello democratico-parlamentare ed un altro ancora da definire.
In un momento di passaggio – ha inistito Adinolfi – la presunzione, l’arroganza e l’incompetenza dilaganti non servono ad altro che a peggiorare la situazione. Solo cambiando lo sguardo si potrà uscire positivamente dalla situazione in corso, senza pretendere di voler imporre un modello unico per tutti, soprattutto se questo modello non si è dimostrato per nulla miracoloso.

Durante l’intero convegno, durato quattro ore e mezzo, gli oltre duecento ascoltatori e i giornalisti di varie testate, di tutte le agenzie stampa e del tg2, hanno potuto osservare le slides del centro studi, proiettate sullo schermo dietro i relatori.
La sintesi delle slides è la seguente
Il Mediterraneo è uno scenario passivo di giochi geostrategici.
E’ necessario che i suoi Paesi possano gestire, comunemente, la pressione demografica e lo sviluppo economico. Ma bisogna che quest’ultimo non faciliti la delocalizzazione delle imprese europee e che l’immigrazione incontrollata, sposandosi alla delocalizzazione e alla concorrenza globale, non arrechi in Europa povertà, disoccupazione, conflitti etnici e guerre sociali.
Problemi acuiti dallo spettro irreale dello “scontro di civiltà”.
Più ci si avvicina alle arterie della droga e dei flussi energetici, più si acuiscono questi “scontri di civiltà” ed è da notare come quelli che minacciano l’Europa si sviluppino tutti attorno all’antica Via della Seta, oggi arteria del narcotraffico e pullulare di elementi destabilizzanti.
Non si ravvedono politiche efficaci per lenire le piaghe dell’area che non riguardano solo l’attuale guerra in Libia ma anche la tragedia di Gaza o le esazioni nelle enclavi serbe in Kosovo. Né si procede efficacemente per risolvere la questione della Green Line che divide Cipro.
Probabilmente le soluzioni vanno trovate nel confronto, nella cooperazione, nel saper ascoltare, in una forma di reciproca empatia priva di complessi di superiorità e d’inferiorità.
Nell’orgoglio delle qualità delle nostre storie differenti.
E’ possibile lavorare in concerto. Ma bisogna decidere se il modello che viene comunemente proposto è davvero la soluzione.
Dobbiamo imporre una standardizzazione? Non si calcola che molti degli errori da correggere sono stati fatti per attenersi ad alcuni preconcetti del modello dominante. Né si considera che la democrazia occidentale, a pioggia dagli USA, dall’ufficiale vocazione iniziale alla partecipazione diretta sta passando sempre più ad un’inquietante tele-democrazia, una democrazia spettatrice guidata dagli opinionmakers. Ciò che pone non pochi interrogativi futuri.
La soluzione sta poi tutta nell’organizzazione sovranazionale?
O nella cooperazione organica e fiera tra di noi?
Dobbiamo esaltare la globalizzazione che uniforma?
O possiamo perseguire un immaginario universale pluriverso?

 

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