venerdì 19 Luglio 2024

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Israele rappresenta attualmente “la principale minaccia per la pace regionale” in Medio Oriente. Lo ha detto il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, nel corso della sua visita a Parigi cominciata ieri sera. “Se un paese fa uso di una forza sproporzionata, e in Palestina, a Gaza, utilizza bombe al fosforo, noi non possiamo dirgli ‘bravi’. Gli chiediamo conto delle sue azioni”, ha proseguito il premier turco. Il riferimento all’operazione Piombo Fuso, alla fine del 2008, è esplicita: “C’è un attacco che ha fatto 1.500 morti e i motivi che sono stati addotti sono delle menzogne. Goldstone è ebreo e il suo rapporto è chiaro”, ha proseguito Erdogan riferendosi al giudice sudafricano che ha stilato il contestato rapporto sull’aggressione alla Striscia, in cui accusa sia Israele sia i palestinesi. “Non diciamo questo perché siamo musulmani”, ha concluso Erdogan. “Il nostro è un approccio umanitario”.
Frasi di inconsueta durezza, pronunciata in una fase delicata che vede Ankara al centro di una complicata mediazione nei colloqui a distanza tra Israele e la Siria. Parte del governo di Benjamin Netanyahu oppone resistenza all’ipotesi che la Turchia possa svolgere il ruolo di mediatore in un’ipotetica ripresa del dialogo con Damasco – che ha al centro la questione cruciale della restituzione delle alture del Golan. I rapporti tra Israele e la Turchia, storicamente improntati alla cooperazione soprattutto in campo militare, si sono notevolmente raffreddati dopo da subito Erdogan era stato particolarmente duro nelle sue critiche all’operazione Piombo Fuso. La Turchia è uno Stato islamico secolare e ha spesso svolto un ruolo di intermediario nei rapporti tra lo Stato ebraico e il mondo arabo.
Il punto però forse più controverso è quello legato alle armi nucleari. Ankara è contraria all’imposizione di nuove sanzioni contro l’Iran. La Turchia è membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu, e minaccia di non votare un’eventuale proposta americana di inasprimento delle misure di pressione su Teheran, da Erdogan valutate “inefficaci”. Frustrata dalla lentezza del processo di integrazione europea, Ankara è anche preoccupata dalla possibilità che un isolamento economico del potente vicino islamico, con cui divide 380 chilometri di confine, possa penalizzare eccessivamente i suoi interscambi. E già nei giorni scorsi Erdogan aveva tirato in ballo Israele e la sua potenza nucleare: “Noi siamo contro gli armamenti nucleari – aveva detto pochi giorni fa il premier turco – Ma è vero o no che c’è un altro Paese nella regione che le possiede? Sì, esiste. Ed è mai stato sottoposto a sanzioni? No”. Una corsa agli armamenti nucleari tra le due grandi potenze militari regionali preoccupa naturalmente la Turchia, che si è già offerta come mediatore con Teheran, finora con scarsi risultati. Ma all’indomani dell’annuncio della nuova strategia nucleare americana, con le rinnovate accuse ad Ahmadinejad da parte di Obama, Ankara sente evidentemente il bisogno di porre nuovi paletti regionali, usando toni inusualmente duri contro Israele.
In pochi mesi le alleanze si  sono rovesciate. Ora la Turchia ama più Mosca e Roma che non Tel Aviv (che sta giocando la carta curda e si oppone al South Stream).
Le lobbies turche sono ben piazzate con la UE dove al Consiglio d’Europa presiedono, con Mevlut Cavusoglu, la sottocommissione delle migrazioni in attesa di presiedere, da novembre, addirittura il Consiglio dei ministri del Consiglio d’Europa. La Turchia, insomma, sembra già nella UE,
Queste affermazioni oneste ma politicamente scorrette potrebbero tenercela fuori. Magari in una posizione che sarebbe più utile a loro, a noi e all’intera area vicino-orientale.  

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