venerdì 19 Luglio 2024

Milano è morta

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L’italietta provinciale decede anche lì dov’era più irrequieta

Milano è morta. Milano non c’è più. Avete presente la Milano da bere tutta modelle, sfilate, manager rampanti, piste di coca e ore piccole? Bene, dimenticatela! Nell’ultimo anno la città italiana della moda e della finanza non sembra essere più la stessa. Un po’ la crisi, un po’ l’incapacità di questa città di reagire alle difficoltà la stanno rendendo uno dei posti più noiosi d’Europa. Il centro e suoi locali di culto sono ormai semi-deserti.
Quelli che contano se ne stanno chiusi in casa. E hanno serrato le porte e i portoni a doppia mandata. Il Just Cavalli, il Toqueville e i vari ristoranti alla moda fanno difficoltà a ritrovare lo splendore di un tempo. I Tronchetti Provera, le Afef, i Bonomi, gli Arpe, le Beccarie e persino i Signorini, i Fede, i Confalonieri..(.insomma quelli che contano o contavano!) , non li si vede manco più in cartolina. La vita a Milano si sta spostando nei quartieri operai: Gorla, Precotto, Sesto San Giovanni.
Persino la mitologica Ornella Vanoni, simbolo indiscusso di milanesità, ha lasciato la storica casa di Largo Treves a due passi dalla sede del Corriere della Sera, per trasferirsi nella periferica Via Vasto, a due passi da Viale Monza. Ed è più facile incontrarla alla bocciofila che “Da Giacomo”!
A dimostrazione di ciò basta pensare alla mortifera inaugurazione della mostra di Andy Wharol a Palazzo Reale (ma chi ha fatto gli inviti?), dove l’unica star era Geppi Cucciari (pensa te). Ormai sempre più gente se ne scappa dalla città: vedi la transumanza per la ricca tartufata di Sandra Vezza, in quel di Cuneo, oppure i novecento che domani sera saranno al gran galà all’Hotel Excelsior di Venezia per festeggiare i cinquanta anni del commercialista Roberto Spada.
Milano si svuota e, in questo week end, come in numerosi altri, più che “Milano da bere”, si può parlare di “Milano da bare”: i locali di culto, come l’Hollywood, non tirano più. E pensare che ci passavano le più grandi star internazionali. Le signore si lamentano e dicono .” siamo sempre quelle cinquanta persone”. Che noia. In effetti, alle serate i personaggi sono sempre gli stessi. Occorre cambiare direzione per acquisire un’allure internazionale, altrimenti tutti scappano.
Non basta una Franca Sozzani, non basta un Philippe Daverio. Ma cosa serve? Una forte iniezione di “trasversalità”: non più ghetti e divisione di classe, ma un pout-pourri che provochi divertimento. Gli stilisti non escono più: da quanto tempo non vediamo, ad esempio, Dolce e Gabbana o Giorgio Armani a una serata, se non ai loro eventi? Vabbè, accontentiamoci! Siamo quasi a rimpiangere le serate di Lele Mora, almeno non volevano essere chic, erano quello che erano. Con “velinesca” consapevolezza.

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