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Morire in silenzio

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Domenico Marco Verdigi si è sacrificato sabato scorso per salvare due bambini in preda alle correnti presso Marina di Pisa. Per lui nessuna nazionale col lutto al braccio e nessuna retorica dei giornalisti.

Si può morire a ventitre anni, stroncati dalla fatica, trascinati dalle correnti, dopo aver salvato due bambini che stanno annegando. È successo sabato 28 agosto a Domenico Marco Verdigi presso Marina di Pisa. Il giovane che sarebbe divenuto paracadutista in settembre è morto per rispondere ad un imperativo morale che qualifica l’essere uomo. Onore a Domenico Marco, nella consapevolezza che non è il solo esempio che ci sia stato offerto. I caduti in sacrificio per gli altri, pur in questa miserrima italietta, sono numerosi e frequenti.


Purtroppo gli avvoltoi, coloro che fanno informazione e cultura, non danno loro alcuna vetrina perché contraddicono, nella vita e nella morte, il modello egoistico, arrivista, abbrutente che vogliono imporre in quanto corrisponde alla loro casta di scriba moderni, aspiranti liberti. Unica eccezione: se l’eroe è un extracomunitario. In quel caso dell’eroismo si ricorda persino il presidente della Repubblica. E così li insultano quegli eroi di fuori Europa. Ne fanno un valore collettivo, una rappresentazione generalizzata che ne diminuisce il singolo valore e la portata del gesto. Sono, insomma, razzisti nell’ipocrisia, tanto per cambiare.


La morte, per costoro, vale solo quando fa chiasso e brivido. Fortunatamente la morte di Domenico Marco non fa chiasso: il Fato, che è galantuomo, gli ha serbato un silente decoro. Per lui c’è almeno un po’ di solennità.

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