venerdì 19 Luglio 2024

My home is in Alebama

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Tra leader già neri e sempre più schiariti se l’intendono

 

Quando arriva la certezza che Barak Obama è stato rieletto per la seconda volta presidente degli Stati Uniti d’America, a Roma sonole 5.16. All’Hotel Excelsior le sale, fino a qualche ora prima, traboccanti di persone, sono semi deserte. Gli ultimi superstiti dell’election night, ospiti dell’ambasciatore David Thorne, accennano un timido applauso. Pacche sulle spalle e braccia al cielo per il diplomatico che tira un sospiro di sollievo e si lascia andare a un sorriso disteso.
Alemanno arriva all’alba. All’alba, poco prima delle sei, arriva il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, per fare i complimenti a Thorne per l’elezione di Obama appena avvenuta: tra i due grandi sorrisi e grandi pacche sulle spalle. «Meglio Obama per l’Italia – dice il sindaco – Massimo rispetto per i valori repubblicani, ma secondo me una vittoria di Obama è meglio: ha dato una maggiore speranza sia agli Stati Uniti che a tutto l’Occidente. Ed era il candidato più vicino all’Europa, sia per la linea economica, sia per le politiche sociali. La sua vittoria è premiante in un momento in cui bisogna fare il massimo sforzo per uscire dalla crisi economica senza lasciare nessuno indietro».
E’ stata una festa sottotono quella della “fetta di America” a Roma. Nessun urlo di gioia, nessuna eccitazione. Perché a notte fonda dei 2.000 che avevano invaso le sale dell’Excelsior non c’era quasi nessuna traccia, fatta salva per una sparuta folla di una cinquantina di persone.
Vip e politici. In serata sfilata di politici, vip e ambasciatori iniziata intorno alle 10 e finita intorno alla mezzanotte. Dal ministro Passera a Casini, da Fornero a Gianni Letta, da Sacconi a Martone, passando per Alberto Angela e Daniel Mc Vicar, personaggio dell’interminabile serie Beautiful. Come Cenerentola, allo scoccare della mezzanotte sono scappati tutti. Restano montagne di piatti sporchi accumulati sui minuscoli tavoli della grande sala buffet e bicchieri a metà pieni di vino e bollicine. La festa, iniziata qualche ora prima, aveva tutt’altro tenore. Signore in tacchi alti accompagnati da uomini in giacca e cravatta hanno fatto la fila davanti al metal detector, prima di entrare nei grandi saloni. Nella sala Ludovisi, ad attenderli, c’era musica swing/jazz suonata da una band e un buffet. Tacos, chili e salsine varie. Irrinunciabile l’american food con Mc Donald’s che ha distribuito hamburger, cheeseburger e mele a spicchi fino a notte fonda. La coca cola è stata mischiata alle bollicine e il vino alla birra. E mentre negli States le code si facevano alle urne, all’hotel Excelsior le lunghe code si sono registrate al buffet con qualcuno che esasperato ha commentato: «Mai più!».
Schierati e bipartisan. I più intraprendenti mostravano a tutti la loro dichiarazione di voto con una spilla sul petto. Per gli altri, che non hanno voluto rischiare, doppia spilla e via.
Il discorso di Thorne. Alle 23 tutti, o quasi, nella sala Borghese ad ascoltare il discorso dell’ambasciatore David Thorne, che, accompagnato sul palco dalla moglie, tocca due nodi della campagna elettorale e riesce a strappare al pubblico scroscianti applausi. Precisamente quando parla di democrazia e usa toni duri contro i costi della campagna elettorale: «Comunque vada, l’America, passata la tempesta della campagna elettorale, tornerà unita e saprà superare le differenze in nome della democrazia, il cui obiettivo non è arrivare al governo, ma governare nell’interesse del popolo sovrano. Ci sono stati dei costi davvero eccessivi (6 miliardi di dollari stimati). Spero che troveremo il modo per controllare la spesa e tornare a pensare meno ai soldi e più alle idee».
La sala si svuota. Sul palco anche i vincitori dei concorsi indetti dall’ambasciata. Dopo è tutto un passare da una sala all’altra che si trasforma in “struscio” nelle grandi sale. All’una la sala dove prima ha parlato l’ambasciatore Thorne si trasforma in un cinema: sedie e maxischermo, tutti a seguire le elezioni sulla Cnn. All’1.30 i musicisti che intrattenevano i commensali nella sala Ludovisi, ripongono gli strumenti in un salone sempre più semivuoto. L’attesa si mischia, alla noia, agli sbadigli e al sonno. Dalle 3, mentre sui maxischermi continuano ad arrivare gli exit poll da oltreoceano, è tutto un rumore di piatti e bicchieri che andranno a riempire grandi lavastoviglie. Alle 5 a essere rimasti all’Excelsior sono sono quasi solo gli addetti ai lavori. Tra le 50 persone a seguire l’evolversi della situazione oltreoceano c’è ancora Thorne. Bicchiere in mano, parla, indica il maxischermo, annuisce. «It’s ok» gli dice qualcuno e arrivano le prime pacche sulle spalle. Attende, ansioso, fino a quando alle 5.16 si lascia andare ad un sorriso alzando le braccia al cielo.
Thorne: relazione con l’Italia mai stata così forte. «La vittoria di Obama significa che la relazione costruita in questi tre anni e mezzo con l’Italia continua – ha detto Thorne – Una relazione mai stata così forte e che ora mi aspetto che prosegua su questa strada».
Resistono in pochi. Nella serata bipartisan, tra i 2.000 invitati sono pochi a poter dire di aver vissuto una election “night”: a sapere in diretta chi è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America erano rimasti veramente in pochi.
I democratici americani in Italia significa sempre
a) stretto legame con le dirigenze ex comunsite
b) ingerenze fino a strategie della tensione
c) ingerenze finanziarie e fiscali.
Meglio Obama per l’Italia, Alemanno?
Sarà che tra leader già neri e sempre più schiariti se l’intendono. E poi ce lo siamo scordato il tormentone delle mogli che hanno fatto shopping insieme? Mica roba da niente!

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