Home Alterview Napolitano per esempio

Napolitano per esempio

La vita e i simboli della sepoltura del presidente comunista ci offrono il destro per interpretare quella realtà che nessuno intende vedere

0
Italian Republic President Giorgio Napolitano arrives home as he resigned after nine year tenure. L'arrivo a casa del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che saluta sollevando il cappello. Napolitano ha rassegnato le dimissioni prima della scadenza del suo secondo mandato presidenziale, dopo nove anni di permanenza in carica. Roma 14-01-2015 Foto Andrea Staccioli / Insidefoto

Avete osservato l’addio a Giorgio Napolitano? Sulla sua bara, il Tricolore, che di prammatica deve essere stirato e impeccabile, era sgualcito, e non si può certo pensare all’incuria. In compenso, al Vascello, sede nazionale del Grande Oriente, venne esposto a mezz’asta.
Il Cremlino si è prosternato; lo hanno ricordato con toni eccessivi sia Putin che Biden. Il papa si è recato a rendergli omaggio senza farsi il segno della Croce e al suo funerale ateo ha tenuto un discorso il cardinal Ravasi!
Tutto questo ci è stato spacciato come il rispetto per una persona che aveva saputo cambiare durante la vita e intraprendere un percorso di saggezza democratica. Si è perfino giunti a dire che Kissinger lo considerasse come l’unico comunista ben accetto negli Stati Uniti.
Ma è una versione corretta, è accettabile, o, piuttosto, Napolitano è l’emblema gattopardiano di tutto quanto cambia solo in apparenza per restare immutato, e la sua vita ci mostra come la guerra spirituale, politica, esistenziale, all’Europa (e quindi all’Italia dal Tricolore non sgualcito) e ai suoi popoli continua imperterrita da oltre un secolo?

Un percorso da studiare, dai GUF al Quirinale con coerenza e metodo
Napolitano da giovane era fascista e nei GUF (i gruppi universitari) applaudì all’invasione dell’Unione Sovietica. Dopo l’estate del 1943 cambiò casacca. Si avvicinò ai comunisti nel 1944 dopo aver passato gran parte del tempo nella villa di famiglia a Capri, dove sostavano le truppe americane e in particolare il generale Eisenhower. La famiglia Napolitano era ricca e la madre era una nobile di origini piemontesi. Soprassediamo sulle dicerie che fanno leva sulla sua somiglianza con Umberto II, ma consideriamo comunque i legami con ambienti nobili e sabaudi particolarmente inclini alla massoneria e dalle relazioni preferenziali con gli angloamericani.
Prese la tessera del Pci solo nel 1945, a pericolo svanito, e si schierò con i “moderati” (futuri “miglioristi”) di Amendola. Ovvero di colui che si assunse il “merito” della strage di via Rasella.
Fu così moderato che nel 1956 appoggiò con veemenza la sanguinosa invasione russa dell’Ungheria. Un vizio che poi non si toglierà e ripeterà oltre mezzo secolo dopo con la Libia.
Assunti diversi ruoli di dirigenza nel Pci a partire dagli anni Sessanta, coopererà con Willy Brandt nella politica dell’internazionalismo socialista. Brandt, militante comunista, era fuggito dalla Germania dopo un duplice omicidio, rientratovi dopo la guerra, divenne capo dei socialdemocratici e infine Cancelliere, sulla spinta di ambienti quale la Scuola di Francoforte e con l’aiuto della Stasi. Sarà costretto a dare le dimissioni perché si scoprirà che tutto quello che decideva il suo Cancellierato era concordato con Berlino Est. In pratica venne smascherato come quinta colonna comunista anche se il capro espiatorio fu un suo sottoposto, Günter Guillaume.
Nel 1978, quando fu rapito Moro, Napolitano venne praticamente convocato negli Stati Uniti per preparare l’entrata del Pci nel governo. Un processo che non sarà concluso del tutto soltanto per l’improvvida invasione russa dell’Afghanistan che scombussolerà i piani della CIA.
Nella fragilità della seconda repubblichetta italiana, egli diventerà infine un king maker e l’uomo chiave di un’istituzione che acquisirà un’importanza inimmaginabile prima del 1994: il Quirinale, che oggi è l’architrave della traballante architettura italiana, nonché il centro nevralgico dei rapporti con la Ue, gli Usa, l’Inghilterra e il Vaticano.

La relazione preferenziale tra comunisti e CIA e la rete jaltiana in Italia: una Spectre?
Che Napolitano rivestisse un ruolo altissimo nelle gerarchie mondiali di quel qualcosa di non tangibile che i complottisti, a scarso di fantasia e lontani, per sociopatia, dalla percezione del reale, dipingono in modo grottesco e che agenti britannici, come Fleming, hanno romanzato con la figura della Spectre, è inequivocabile. Il punto però è un altro, anzi due: il suo caso è qualcosa di eccezionale? E come va letta questa realtà intangibile?
Iniziamo dalla prima domanda. Kissinger ha sostenuto che Napolitano fosse l’unico comunista che piaceva negli Stati Uniti. È vero?
Partiamo dalla Nascita dell’OSS, i servizi americani da cui nascerà la CIA. Essi vennero formati, su ordine di Roosevelt, pescando nel partito comunista americano e parteciparono alla Guerra di Spagna esclusivamente con azioni terroristiche.
Durante la seconda guerra mondiale, l’OSS operò in Italia con tre componenti politiche antifasciste: azionisti, socialisti e soprattutto comunisti. Il collegamento tra l’OSS e il comando partigiano era Palmiro Togliatti, il delfino di Stalin. È documentato l’arruolamento di venticinque agenti italiani nell’OSS (ma probabilmente furono molti di più). Almeno quindici di questi appartenevano al partito comunista. Tutto ciò è documentato nel libro-inchiesta di Luca Tadolini, Communists, Edizioni del Veltro.
Abbiamo poi le rivelazioni di Paolo Possenti, tambroniano e successivamente moroteo, esponente di Confindustria, che ci racconta come la Dc avesse stretto rapporti commerciali con la DDR e concesso un santuario toscoemiliano alla Stasi in una zona controllata dal generale Angeli, genero del sanguinario partigiano Boldrini-Bulow, denunciato come spia sovietica dal deputato del MSI Beppe Niccolai che Angeli si guardò bene dal querelare. Alla sua morte gli venne trovato in casa un arsenale sovietico. Qualunque fosse il suo ruolo effettivo, su cui non si è mai indagato, non si dimentichi che egli aveva il controllo delle zone terroristiche e stragistiche principali. Né si ometta che il gladiatore Paolo Emilio Taviani, da ministro dell’interno, depistò sulla strage di Brescia per proteggere i comunisti e che, tra i pidduisti che fecero lo stesso a Bologna, si annoverano il vicedirettore dei servizi segreti interni, Silvano Russomanno, che si trovava allora detenuto per favoreggiamento della Brigate Rosse e un dirigente dei servizi militari, Pietro Musumeci, poi condannato per depistaggio e calunnia, che venne indicato dal capo brigatista Senzani a un suo compagno come agente coperto del Patto di Varsavia.
Del resto il loro Venerabile, Licio Gelli, risulta dalle inchieste a suo carico aver cooperato con il Cominform di Stalin mentre lavorava anche per i servizi inglesi.
Ma c’è qualcosa di a dir poco clamoroso. Il generale Nino Pasti, sottocapo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare, presidente del Consiglio superiore delle forze armate e vicecomandante supremo NATO in Europa per gli affari nucleari, fu eletto al Senato dal 1976 al 1983, ovvero nel momento di massima tensione terrorista, nelle file del Partito comunista! Con la massima tranquillità degli americani che, evidentemente, non temevano che rivelasse segreti sensibili ai propri nemici di farsa.
Giorgio Pisanò, che aveva parte dei servizi segreti della Repubblica Sociale Italiana, affermò nel dopoguerra: “l’italia è formalmente nella NATO ma sostanzialmente nel Patto di Varsavia”.

Usa e Russia: mai veramente nemiche e spesso mano nella mano
Ma è solo un fatto italiano? Come abbiamo scritto, l’OSS (poi CIA) venne costituito pescando esclusivamente nel partito comunista e nella sinistra radicale degli atenei americani.
La NATO venne formata nel maggio 1949 ed entrò in vigore in agosto.
La prima atomica russa venne esplosa quasi contemporaneamente: a fornire a Mosca i piani erano stati diversi scienziati spie ma nella fuga di notizie venne coinvolta l’amministrazione presidenziale di Truman e fu condannato un consigliere del presidente, Alger Hiss, già collaboratore di Roosevelt.
Nel 1956 americani e russi cooperarono nella Crisi di Suez avallando di fatto, i primi, l’invasione ungherese e fu allora che, in contemporanea, gli ambienti neofascisti e leninisti italiani svelarono la mascherata e coniarono il termine d’imperialismo russoamericano.
Un imperialismo russoamericano che ha mutato nel tempo, soprattutto per l’entropia dei primi e per la crescita cinese, ma è cambiato sempre nel segno del “trasformismo” stile Napolitano e ancora oggi si manifesta nella guerra congiunta all’Europa che non so più cos’altro serva perché chi possiede anche un solo neurone la pianti di parlare infine di conflitto per procura tra la NATO e i corleonesi di Mosca.

Come funziona la democrazia e quanto contano le minoranze fanatiche
Di cosa parliamo? Di un complotto d’incappucciati, di un film per disadattati? No. Parliamo di logiche tipiche del solve et coagula e dell’intreccio sempre più fitto di relazioni mondiali. Tutto questo comporta, come scrivevo nel 2002 in Nuovo ordine mondiale tra imperialismo e Impero, la necessità di velare la realtà perché essa – democraticissima nell’anima tellurica – non può corrispondere al racconto della democrazia come potere popolare, ma è gestita con la stessa logica delle imprese multinazionali e del crimine organizzato. Quindi esiste un’altra dimensione, che è quella del potere e dei segreti, ma è una dimensione in cui le contraddizioni si risolvono o si lasciano esplodere e in cui le contese ci sono eccome, non c’è uno che comanda a bacchetta.
Tuttavia in queste élites del sistema mondiale, che sono chiamate a far fronte a delle direttrici culturali, etniche, economiche e politiche, oggettive e a volte dirimenti, chi è animato da un fanatismo ideologico-sacrale (che si può definire laicamente satanista) ha una marcia in più perché ha una volontà di potenza e una libido di distruzione, animata dall’odio di quanto è bello e giusto.
Chi legga Il Manifesto di Marx ed Engels senza pensare alle prigioni a cielo aperto determinate in seguito dai bancarottieri seriali russi, si accorgerà come l’attuale sistema capital-comunista si avvicini al loro disegno.

I nostri nemici si trovano al di fuori ma li abbiamo soprattutto dentro
Oggi noi assistiamo al cosiddetto reset mondiale che la retorica dei fancazzisti e la banalità dei pappagalli può anche definire multipolare, ma è piuttosto frastagliato, multiallineato e proteso verso un apolarismo apparente che per il momento resta a gestione del medesimo crimine organizzato di sempre e intanto sta continuando a favorire Washington: basti pensare alle crisi che attanagliano Cina, Russia e Germania.
I fanatici di cui sopra sono tutti, nessuno escluso, antieuropei.
Le condizioni per fare assurgere l’Europa ai vertici del sistema mondiale c’erano tutte e, almeno in teoria, permangono, facilitate dagli interessi indiani e cinesi. Se ci limitiamo a ragionare in termini di nazioni, noi come europei e come italiani abbiamo contro, ancora una volta, i vincitori della guerra: Usa, Russia e Inghilterra.
Ma il problema è che abbiamo contro soprattutto noi, perché, tra quelli che, nel deep state e nei centri nevralgici, detengono un potere, in diversi sono fanatici e questi sono tutti appartenenti alle componenti scelte dall’OSS per arruolare agenti in Italia: trozkisti, stalinisti e azionisti, ovviamente evoluti giorgionapolitanamente. Agli azionisti, per esempio, fa costantemente occhiolino il ministro Valditara per tranquillizzare i soviet del suo ministero dedito alla in-formazione dei giovani da formattare.
La Germania unificata è oggi dominata dagli ex della Stasi, che sono riusciti perfino a spartirsi l’opposizione con i loro amici della CIA, dando vita a quell’obbrobrio che porta il nome di AfD.
In Spagna ci sono gli eredi della pasionaria del 1936. In Francia predominano i trozko-sartriani di genere “bobo”, ovvero dei borghesucci con le loro tare. In Italia è tutto un dominio mentale e propagandistico dei cattocomunisti. Contro questi servitori del nemico, contro questi agenti della metastasi, sono stati costitutiti in un laboratorio-cottolengo gli imbecilli del sovranismo putin-trumpiano che ne sono l’assicurazione sulla vita.

Trarre insegnamento dalla storia e dall’attualità
Tutto quanto ho descritto non verte a provocare scoramento, tranne che in quelli che nutrono false illusioni e che, prima se ne curano, meglio è. Siamo in presenza da tanto tempo di un offensiva sacrale antiolimpica, antieuropea, che si effettua mediante l’appropriazione dei meccanismi consoni alla gestione della realtà. Ma quei meccanismi sono nelle mani di minoranze organizzate che non corrispondono al Volksgeist. Le minoranze che tengono la Spagna si rifanno fanaticamente alla Repubblica sovversiva, ma gli spagnoli non sono così. In Germania dominano i riferimenti a Rosa Luxembourg e a Marcuse, ma non è la Germania. Probabilmente in Italia il pezzentume cattocomunista effettivamente è popolare, ma è comunque contrastabile.
Si tratta, come affermo da parecchio tempo, di non partecipare più al gioco delle false apparenze e delle false contrapposizioni bensì di fare perno su noi stessi, sconfiggere la principale arma del nemico, che è l’ipnosi, e creare poteri autonomi, sociali e ridenti, improntati sul Mito della rigenerazione dell’Europa, ovvero senza mai abbandonare la vera barricata e il testimone che ci fu consegnato.
Quello che ho inteso con questo riassunto ispiratomi dall’esempio di Napolitano, è semplicemente richiamare alla lucidità, ai fondamentali, alla comprensione della realtà. Bisogna finirla di farsi sballottare di qua e di là come foglie morte, nella frustrazione e nell’astio che è quanto, più di ogni cosa, accomuna le destre terminali alle componenti autentiche di questo sistema che esse contribuiscono a tenere in piedi psicologicamente, in misura non disprezzabile.

Exit mobile version