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Nascita di un Imperatore

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Con buona pace dei reazionari e dei piccoli uomini

Quella forza positiva che avrebbe attraversato la modernità senza farsi piegare dall’orizzontalità nacque con lui.
Il quale vide la luce in Corsica esattamente 15 mesi dopo che l’isola era stata ceduta ai francesi, rampollo di una poverissima piccola nobiltà tosco-ligure che aveva avuto in passato qualche attrazione ghibellina.
Colto dal turbine del momento eccezionale, egli fece una carriera strabiliante dovuta alle eccelse doti militari, al carattere, all’intelligenza ben al di sopra di quelle più brillanti di un’epoca in cui si usava il cervello molto più d’ora, alla tenacia e a una cultura senza pari, sommate a un’audacia che mai fu incoscienza.

Né Fronte Rosso né Reazione, fin dai loro progenitori
Contro di lui, il futuro Imperatore nato ad Ajaccio il 15 agosto 1769, milita tutta la storiografia ufficiale, quella dei due partiti eternamente presenti in tutte le “élites”: il sovversivo/progressista e il conservatore/conformista. Chi ha sfidato quei partiti insieme, chi ha impresso vere e proprie svolte essenziali alla storia, dalle storiografie partigiane unite è sempre vilipeso e calunniato, ed è odiato.
Prima di Napoleone questo accadde a Nerone e in seguito, come ben sappiamo, si sarebbe ripetuto ancora. Un partito, quello giacobino, ha perlomeno accusato Napoleone di qualcosa di abbastanza rispondente: di aver tradito e sotterrato la Rivoluzione, che, se intesa come la intendono loro, è esattamente quello che fece. Molto più mendace e portatore di distorsioni il partito guelfo/nobiliare/inglese che ne ha fatto un Anticristo, un sovversivo, un usurpatore, un violentatore. Vere e proprie cazzate di cui i primi propagandisti erano consapevoli ideatori che distorcevano il reale in malafede, come da loro tradizione. In seguito, attraverso i secoli, i reazionari hanno ripetuto a pappagallo la cantilena, imprigionati il cervello e soprattutto l’anima nel dogma freddo dell’autogiustificazione vittimistica che scarica tutti gli insuccessi di un campo sbagliato nell’opera di qualcuno di “diabolico”.
Ciò si sarebbe ripetuto, pari pari, a partire del 1922 nei confronti di coloro che avevano preso Napoleone a modello (Mussolini) o che lo avevano comunque stimato, onorato e che ne avevano riunito le spoglie con quelle del figlio prematuramente scomparso (Hitler).
Entrambi da lui avrebbero ereditato non solo le linee generali del disegno ma i nemici: ideologici, sociali, religiosi, culturali, così come i centri geografici di potenza che li avrebbero osteggiati.

La traslazione dell’idea imperiale

Come tutte le ricostruzioni storiche serie, incluse quelle a lui contrarie, come i diari dell’epoca e i documenti attestano, come egli stesso ebbe a dire e a scrivere ripetutamente, Bonaparte fu invece colui che traslò l’ideale imperiale, la concezione del ciclo eroico classico, l’eguaglianza di fronte alle possibilità, la gerarchia e la restaurazione della religiosità nell’era moderna, in contrasto al contempo con i titanici distruttori giacobini e il museo delle cere dei monarchici di alto bordo.
Perché li combatté, in effetti, ma quando si trattava delle classi privilegiate in combutta con gli inglesi, come a Tolone. Si rifiutò invece di reprimere la Vandea.
Si volle rettificatore della Rivoluzione ed edificatore di un nuovo ordine sociale e politico di respiro europeo. Fu lui che, in contrasto con l’élite scientista ed illuminista, promosse e restaurò la religione, fu ancora lui che dichiarò esplicitamente guerra all’usura (identificata come tale ben prima di Ezra Pound) e comprese l’importanza della moneta nella sovranità. Fu ancora lui che coalizzò contro di sé tutte le branche della Dinastia Rothschild, la stessa che alla sua caduta definitiva avrebbe varato, con il Congresso di Vienna, l’era della Santa Finanza. Egli arrestò il Rohtschild di Francia per il suo tradimento; i presunti “legittimisti” che vennero dopo lo elevarono invece a Barone.
Nel bene e nel male fu lui a creare il nazionalismo rivoluzionario. Bonapartista in Francia, in Italia, in Polonia, antifrancese in Spagna e in Germania. Anche nelle conseguenze inattese, anche nella contrarietà alla sua espansione, fu lui ad essere decisivo. Senza di lui non si sarebbe probabilmente mai formata una coscienza nazionale tedesca che avrebbe poi permesso la nascita del Primo Reich mezzo secolo dopo la sua dipartita.
Come ebbe a chiarire Mussolini e come ribadì Adriano Romualdi, in questo in polemica con le visioni accademiche del tradizionalismo ivi compreso evoliano, senza di lui non avremmo avuto né l’idea d’Europa, né i nazionalismi rivoluzionari, né il socialismo aristocratico di trincea, ovvero la visione di una nuova nobiltà forgiata sul campo. Senza Legion d’Onore forse neppure arditi, squadristi, SA, SS.

Il rancore dei nanerottoli
Contro di lui l’astio ancora presente degli inglesi che nella loro storia non hanno mai temuto nessuno quanto l’Empereur che agitava le loro notti di incubi. Contro di lui la congiura dell’oblio di democratici e progressisti. Contro di lui la rabbia dei nobili per etichetta, per dogma, per procura, gelosi di una meccanica che pretendono immutabile ma che s’inceppa ripetutamente, nei secoli dei secoli, e per la quale accusano sempre coloro che vi offrono le alternative, specie se lo fanno con grandezza d’animo e facendosi adorare dalle truppe e dalla gente comune.
Niente di nuovo sotto il sole: da Pompeo a Luigi XVIII è sempre il tentativo d’impedire che la grandezza rinnovi quel che è decrepito, gli dia senso, vigore, bellezza e faccia questo in accordo con la verticalità e la regalità, travolgendo ciò che, pur proclamandole, le ingessa, le ingabbia e le corrode.
Mi dispiace per chi a quei cacadubbi, a quei tartufe, a quegli invidiosi, a quei mediocri che si coprono di paramenti sacerdotali o nobiliari, dà acriticamente retta. Solitamente si dà loro credito perché negli schemi è più facile atteggiarsi e darsi un contegno, perché è più comodo ripararsi in una casella precostituita che non rispondere all’imperativo che ci chiede di essere nell’azione, di essere nel divenire, di essere, insomma, e non di accendere fuochi fatui all’idolo di quel che fu e di cui gli stessi idolatri di solito non han capito niente.
Il caso a certi livelli non esiste: Napoleone vide la luce il giorno delle Feriae Augusti, la data di festa dell’Impero instaurata da Ottaviano Augusto, colui che l’Impero di fatto realizzò. Doveva nascere quel dì. Infatti il còrso, liquidatore di quanto ancor sussisteva di formale ma privo d’anima, avrebbe riunito la forza dissolvente della Rivoluzione con quella coagulante della Reazione esprimendo così la sintesi in un Nuovo Cesarismo che avrebbe rinvigorito, rinnovato e trasmesso la concezione imperiale incendiando gli animi e le passioni di un fuoco di anime ardenti.

A me Napoleone a voi Rothschild: a ognuno il suo
So perfettamente, come mi accade sovente e in tutti i temi, di farmi così non pochi nemici, di sollevare ostilità, astio e finanche sdegno. Per parafrasare il Cirano di Guccini “Spiacere è il mio piacere, io amo essere odiato”. Anche se non si tratta tanto di questo quanto del più illustre “Me ne frego”. Non m’interessano le statue di cera ma il vento che rigenera e rinvigorisce, non gli atteggiamenti del corpo e della mente ma il loro coraggioso ardire, non i concetti formali ma la forza travolgente dei princìpi.
Sicché oggi io festeggio la nascita dell’Imperatore. Altri mi maledicano pure e continuino a elevare a baroni i Rothschild!

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