venerdì 19 Luglio 2024

Niccolò Giani, mistico del Fascismo

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Ritratto di Niccolò Giani, fondatore della Scuola di mistica fascista, propugnatore di un Fascismo puro, anti-borghese ed intransigente, tipico esponente di una generazione idealista e combattiva, cresciuta nell’entusiasmo per la Nuova Italia mussoliniana. Un Fascismo mistico che non venne solo teorizzato ma anche e soprattutto vissuto come milizia quotidiana, se è vero che Giani – come Berto Ricci – morì sul campo di battaglia.




Per più di cinquant’anni è stata una vicenda celata, seppure male, e
dimenticata, anche se non da tutti. La storia di una generazione, anzi di un
pezzo di una generazione di intellettuali fascisti che nel 1940 avevano
circa trent’anni ed erano bambini all’epoca della marcia su Roma. Erano i
lupacchiotti allevati dentro il regime e nel culto totale del dittatore.
Quella vicenda l’ha tolta dal lungo oblio lo storico e giornalista Aldo
Grandi. Con passione e serietà di studioso l’ha svelata e raccontata nelle
sue sfumature, anche le più terribili.
Sui balilla ragazzini divenuti poi uomini di punta del fascismo Grandi aveva
già scritto nel 1990 un’interessante raccolta di interviste (Autoritratto di
una generazione, Abramo). E, dieci anni dopo, un altro libro, I giovani di
Mussolini (Baldini & Castoldi). Ma soprattutto aveva scritto su uno di loro,
Ruggero Zangrandi, amico del cuore di Vittorio Mussolini, figlio del Duce.
Zangrandi, camerata della prima ora, poi comunista di ferro, autore del noto
Lungo viaggio attraverso il fascismo: a lui, Grandi aveva dedicato altri due
libri, l’ultimo nel 1998.
Eppure, uno di quei fascisti in erba mancava ancora: Niccolò Giani, il
protagonista del nuovo libro di Grandi, Gli eroi di Mussolini, edito dalla
Bur e di prossima uscita. Mancava ancora l’estremista sfegatato, l’«eroe»
del titolo. Il razzista totale, di un antisemitismo da far invidia ad Adolf
Hitler e Julius Evola: questo era Giani. Ma insieme il volontario (medaglia
d’oro) andato a morire per puro senso del dovere, nel 1941, sul fronte
albanese, una fine che si sarebbe potuto evitare.
E ancora: fustigatore della corruzione che avanzava nel regime, ma
accumulatore di numerose cariche (professore universitario, ideatore e capo
della Scuola di mistica fascista, direttore di un quotidiano a Varese)
probabilmente nel tentativo di dare una raddrizzata ideale e onesta al
fascismo che, dopo vent’anni, sprofondava nella corruzione delle piccole
consorterie. E poi capace di dare un calcio a tutto, partendo appunto per la
guerra. Infine, triestino ma tutto l’opposto del mitteleuropeo classico,
tetragono a qualsiasi commistione, rigido nazionalista, per nulla sensibile
al richiamo delle sottigliezze psicologiche, del buon vivere, delle donne.
Di Giani, cumulo di contraddizioni, Aldo Grandi ha trovato l’archivio
personale custodito dai nipoti: libri, opuscoli, lettere, foto. Un insieme
di documenti che permette di ricostruire la vita di questo giovane uomo di
aspetto grave, anzi un po’ cupo, magro, come lo si vede accanto a Benito
Mussolini, in una fotografia scattata a Palazzo Venezia a Roma insieme agli
allievi e ai docenti della Scuola di mistica fascista.
Figlio di un farmacista triestino, il giovane Giani, come molti della sua
città, va a studiare all’università a Firenze, culla d’italianità: chimica.
Un mezzo fallimento. Torna a Trieste, riprova a giurisprudenza. Non è
un’aquila, ma ha il pallino della politica. Scrive sui giornali, anzi tira
la carretta. Poi Milano, ancora galoppino nei giornali. Ma qui, nella culla
del fascismo, trova una nuova porta aperta, la vita di partito. Conosce e
diventa un pupillo di Arnaldo Mussolini, il fratello di Benito e direttore
del Popolo d’Italia. E incomincia a coltivare l’idea di mettere in piedi una
scuola di livello elevato dove il fascismo sia insegnato come dottrina. Si
chiamerà col nome del figlio morto di Arnaldo, Sandro Italico. È la scuola
di mistica, un termine che qualche anno più tardi l’Osservatore romano
attaccherà con forza, perché poteva lasciar intendere che il fascismo vi
fosse pericolosamente trattato come qualcosa di religi

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