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Noi siamo la coppia più bella del mondo

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Usa e Cina: la Yalta del silenzio

Sta assumendo i toni del “giallo internazionale” – nuova benzina sul fuoco dei non facili rapporti militari fra le due massime potenze mondiali – la presunta vendita di aerei da trasporto americani Lockheed Martin C-130 alla Repubblica Popolare Cinese, annunciata nell’ultimo fine settimana dalla stampa americana ma seccamente smentita ieri da un comunicato della Casa Bianca allo Speaker della Camera dei Rappresentanti Nancy Pelosi.
Venerdì 8 ottobre il presidente americano Barack Obama aveva inviato una lettera al Congresso per invitarlo a “sospendere” un paragrafo – il 902(a)(3), relativo all’esportazione temporanea di armi – del “1990-1991 Foreign Relations Authorization Act”, il provvedimento col quale 21 anni fa gli Stati Uniti (seguiti poco dopo dall’Unione Europea) imposero l’embargo sulle armi alla Cina in risposta alla sanguinosa repressione delle proteste di Piazza Tienanmen, dell’aprile 1989. Nella sua comunicazione il presidente Obama specificava che la richiesta era “una questione di interesse nazionale per gli Stati Uniti”. I C-130, chiariva, servono a Pechino per affrontare le operazioni di bonifica del mare in seguito a disastri petroliferi come quello (di lieve entità) che ha interessato le sue coste all’inizio di agosto. Un impiego nel quale si sono distinti i C-130J “Super Hercules” dell’USAF in giugno, in seguito al ben più grave disastro della piattaforma Deepwater Horizon, nel Golfo del Messico.
A questo punto i giornali americani hanno sparato la notizia che gli USA stanno per vendere il loro cargo militare alla Cina, levando l’embargo (come chiedono da tempo Francia, Germania e Gran Bretagna) e avviando così una nuova stagione nei rapporti fra Washington e Pechino.
Ieri mattina dalla Casa Bianca, destinataria ancora Nancy Pelosi, è giunta una precisazione nella quale si chiarisce che la richiesta di sospensione parziale dell’embargo è un passo obbligato in relazione all’imminente invio in Cina (sorvolo, atterraggio e successive operazioni di volo) di C-130 in versione civile da parte di un misterioso operatore europeo, aeroplani di cui le autorità cinesi si servirebbero all’occorrenza per spargere in mare composti chimici che sciolgono il petrolio. Dunque, niente vendita diretta di Hercules ma solo una licenza temporanea di esportazione per permettere ad aerei di costruzione americana di tipo militare (ancorché in questo caso in “abiti” civili) di operare sul territorio della Repubblica Popolare Cinese.
Delle due l’una: o la stampa americana ha preso un abbaglio storico (qualche testata si è spinta a scrivere che Obama considererebbe la vendita di sistemi d’arma a Pechino come una misura capace di pareggiare i conti nella bilancia degli scambi fra i due Paesi, oggi a favore della Cina); o in realtà la Casa Bianca, forse davvero intenzionata ad avviare un “rilassamento” delle procedure di embargo a Pechino, ha fatto marcia indietro, probabilmente in seguito all’opposizione di parte del Congresso anche a una mera “esportazione temporanea” dopo la violenta reazione del governo cinese all’assegnazione del Nobel per la pace al dissidente Liu Xiaobo.
L’ultima fornitura di velivoli USA alla Cina risale alla metà degli anni Ottanta, quando Sikorsky consegnò alla People’s Liberation Army Air Force una dozzina di elicotteri multiruolo S70 Black Hawk. Pechino aveva già chiesto due anni fa agli Stati Uniti di inviarle un certo numero di C-130 per evacuare migliaia di vittime del terremoto nel Sichuan (che fece registrare oltre 70.000 morti), ma proprio per effetto dell’embargo Washington aveva risposto di no.
Resta da capire quali rischi per la loro sicurezza correrebbero gli USA se arrivassero davvero ad aggiungere la Cina comunista nella lista di Paesi (49 finora) che utilizzano il loro glorioso cargo militare, con oltre mezzo secolo di carriera sulle ali. Ci si chiede per esempio se Lockheed Martin fornirebbe anche le necessarie scorte di pezzi di ricambio. C’è chi sostiene che non ce ne sarebbe bisogno, avendo i cinesi grande esperienza nel reverse engineering – utile in questo caso per assicurarsi il sostegno logistico dei propri Hercules in maniera autarchica – e comunque di sicuro una buona conoscenza del quadriturboelica Lockheed, in servizio anche presso vari loro fedeli alleati.
Pechino intanto proprio due settimane fa ha deciso di resuscitare il programma del Shaanxi Y-9, versione allungata e rimodernata del cargo medio quadriturboelica Y-8, a sua volta copia “carta carbone” dell’Antonov An-12, l’Herculesky” di Mosca (per la verità più piccolo del C-130). Il programma fu avviato nel 2001 e sospeso poco dopo per difficoltà industriali; ora sarebbe in assemblaggio un primo prototipo, il cui volo inaugurale dovrebbe avvenire l’estate prossima.
La vicenda dei C-130 cinesi si è svolta negli stessi giorni dell’incontro ad Hanoi fra il segretario alla Difesa americano e il suo omologo cinese. A parere di Zhao Xiaozhuo, esperto di questioni militari americane all’Accademia delle Scienze di Pechino, “Stati Uniti e Cina devono stringere rapporti amichevoli proprio sulla base di nuovi scambi di materiale militare, anche di tipo avanzato”. Paradossalmente, nella capitale vietnamita Robert Gates era andato ad assicurare ai nemici di quarant’anni fa che gli Stati Uniti continueranno a mantenere una massiccia presenza militare in uno scacchiere – il Pacifico sud-occidentale – assolutamente strategico per la stessa Cina, che sta rivendicando vari atolli nella regione indocinese e fra le Filippine e la Malesia, e ha in programma la costruzione di un certo numero di moderne portaerei, dapprima “costiere” e più in là “oceaniche”. Queste ultime destinate alla cosiddetta “proiezione di forza”.

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