venerdì 19 Luglio 2024

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Assange in fuga dagli americani. Pardon “svedesi”

Nuovo colpo di scena nella saga di Wikileaks: Julian Assange, il fondatore del sito dedicato alla trasparenza totale dell’informazione diplomatica online si è rifugiato nell’ ambasciata dell’Ecuador a Londra, e ha chiesto asilo politico al Paese latino-americano, con serie possibilità di ottenerlo. L’obiettivo della mossa, clamorosa e totalmente a sorpresa di Assange, è di evitare l’estradizione in Svezia, dove deve affrontare un doppio processo per stupro, dopo il via libera, ormai dato per scontato, della giustizia britannica.
Al numero uno di Wikileaks, la Corte Suprema dopo aver respinto in appello il suo ricorso il 14 giugno, aveva accordato 14 giorni prima di rendere operativa l’estradizione, anche per dargli la possibilità di presentare appello davanti alla Corte Europea per i Diritti Umani, l’ultima chance per evitare l’inevitabile estradizione. Uno dei timori di Assange, arrestato in GB su mandato di cattura internazionale nel dicembre 2010, oltre ad una condanna in Svezia, era di finire negli Stati Uniti, dove potrebbe celebrarsi un giorno un durissimo processo contro di lui, con pesanti accuse che potrebbero addirittura costargli lunghissimi anni di carcere, se non peggio.
La notizia che Assange si è rifugiato nell’ambasciata di Londra, sulla centralissima Knightbridge, è venuta da Quito, attraverso uno scarno comunicato del ministero degli Esteri, che ha immediatamente informato il Foreign Office. Citato dal ministero degli Esteri, Assange sostiene di “essere stato abbandonato dalle autorità del mio Paese, l’Australia”, aprendo la porta ad una sua possibile ed eventuale estradizione negli Stati Uniti, “un Paese che applica la pena di morte per il reato di spionaggio e di tradimento”. Assange non si fida neppure delle autorità svedesi, dove “i più alti dirigenti mi hanno apertamente attaccato e hanno avviato un’indagine per delitti politici negli Stati Uniti d’America, un Paese in cui vige ancora la pena di morte per reati di questo tipo”.
L’Ecuador ha detto che “sta valutando la richiesta” e che qualsiasi decisione “verrà presa tenendo conto del rispetto delle regole e i principi della legge internazionale”, oltre che della “politica tradizionale dell’Ecuador di proteggere i diritti umanì. Assange era in contatto con il Paese sudamericano sin dalla fine del 2010, cioé poco dopo lo scoppio del ciclone Wikileaks, con la pubblicazione di decine di migliaia di documenti diplomatici riservati, molti dei quali imbarazzanti, e la stragrande maggioranza dei quali statunitensi. Sono stati consegnati a Wikileaks in maniera anonima da un militare, Bradley Manning, attualmente in carcere negli Usa, e che rischia la pena di morte. L’allora vice ministro degli Esteri di Quito, Kintto Lucas, aveva non soltanto invitato Assange a parlare in Ecuador, ma gli aveva anche offerto la residenza.
Molto più recentemente, il 22 maggio, Assange ha intervistato Rafael Correa, il presidente ecuadoregno, per la tv russa RussiaToday con la quale il fondatore di Wikileaks ha iniziato a lavorare. L’Ecuador ha subito un tentativo di colpo di Stato nel settembre 2010 e Correa era stato addirittura preso in ostaggio. Secondo fonti latino americane, dietro al tentato golpe potrebbe esserci stata la Cia, appoggiandosi ad alcuni media “corrotti” del Paese, contro i quali il presidente sembra poi essersi accanito. Un po’ ironicamente la rivista americana ‘The Atlantic’ suggerisce infatti ad Assange, che in una dichiarazione ha ringraziato l’Ecuador per avere accettato di esaminare la sua richiesta di asilo, di pensarci due volte prima di istallarsi nel Paese latino americano, dove praticamente non c’é libertà di stampa. Ora tutti gli occhi sono puntati anche su Los Cabos, in Messico, dove al termine del vertice del G20, tra le domande sulla crisi al presidente Usa Barack Obama e al premier britannico David Cameron spunterà quella sul nuovo episodio della saga Assange.

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