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Obama is planning

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Dalle sue parole si evince che o parla a vanvera o annuncia una guerra mondiale

“Noi ricostruiremo, noi ci riprenderemo e gli Stati Uniti d’America torneranno più forti di prima”. Interrotto dagli applausi scroscianti del Congresso Barack Obama ha parlato ieri sera all’America, non nascondendo le difficoltà del momento ma invitando tutti a rimboccarsi le maniche e ad affrontare la crisi in modo costruttivo e ambizioso. Nel suo primo discorso alla nazione (“voglio parlare francamente e direttamente agli uomini e alle donne che ci hanno eletti”) ha promesso nuovi sforzi (e ulteriori finanziamenti) per energia, sanità ed istruzione, ha ribadito che “l’America non tortura” (!!!….) e ha confermato gli aiuti per l’auto: “Chi in passato ha sbagliato non verrà protetto, ma ci impegniamo a ricostruire e a ricreare una industria che possa competere e vincere. E sono convinto che la nazione che ha inventato l’auto non può lasciarla perdere”. E’ stato un appello ‘bipartisan’, lanciato con toni reaganiani (o da ‘New Deal’di Roosevelt) e con l’ottimismo che lo contraddistingue, nella convinzione che “il peso della crisi non determinerà il destino” degli Stati Uniti. Parole scelte con cura per solleticare l’orgoglio e il nazionalismo dei cittadini della prima potenza mondiale: “Le risposte ai nostri problemi non sono fuori dalla nostra portata. Esistono nei laboratori e nelle università, nei nostri campi e nelle nostre fabbriche, nell’immaginazione dei nostri imprenditori e nell’orgoglio dei nostri lavoratori, i migliori del mondo. Queste qualità hanno fatto dell’America la più grande forza di progresso e prosperità nella storia umana. Ora il paese deve unire le forze e confrontare le sfide, e assumersi ancora una volta le responsabilità del proprio futuro”.
Responsabilità che in passato “se siamo onesti con noi stessi, abbiamo lasciato perdere troppo a lungo”, ha aggiunto con una critica non solo alla passata amministrazione ma anche al comportamento più generale, di chi non si è preoccupato della “dipendenza dal petrolio straniero”, di chi non ha saputo fermare i crescenti “costi della sanità” e non ha cercato di risolvere il declino della scuola. E proprio questi tre temi (“i costi della salute creano una bancarotta ogni mezz’ora”) sono i punti fermi della sua piattaforma: da Medicare, la mutua per le anziani, alla Social Security, fino al Pentagono, per gli appalti che hanno fatto sprecare miliardi di dollari in Iraq. Ha sfidato il Congresso ad approvare una legge che ponga limiti all’emissione dei gas che stanno surriscaldando il pianeta e che finanzi con 15 miliardi di dollari l’anno nuove fonti energetiche alternative. Ha detto che l’America sta finendo dietro la Cina, la Germania, il Giappone e altre nazioni nella produzione e nell’uso di energia pulita, invitando gli imprenditori Usa a far diventare gli Stati Uniti un paese leader anche in questo campo. Un piano ambizioso che necessita nuovi massicci finanziamenti (ben oltre il pacchetto di oltre 700 miliardi approvato dal Congresso), ma su questo punto il presidente americano e stato piuttosto vago, come vago è stato sulla sanità limitandosi a dichiarare: “Non voglio lasciare dubbi: la riforma sanitaria non può attendere, non deve attendere e non attenderà più di un anno”. In compenso ha promesso di tagliare del cinquanta per cento il deficit entro la fine del suo mandato, sostenendo che l’Amministrazione ha gia individuato duemila miliardi di dollari di risparmi per il prossimo decennio: da Medicare, la mutua per gli anziani, alla Social Security, al Pentagono, per gli appalti che hanno fatto sprecare miliardi di dollari in Iraq. Visto che la crisi è globale e planetaria si é poi impegnato a lavorare in accordo con le altre grandi economie mondiali: “Lavoriamo con le nazioni del G20 per restaurare fiducia nel nostro sistema finanziario, evitare la possibilità di una escalation del protezionismo e stimolare la domanda per merci americane nei mercati del globo“. Un discor

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