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Oggi ne esistono soltanto tre

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L’anarca di fronte al comunista e all’anarchico

 

Siamo in quella post-modernità che René Guénon aveva descritto annunciando il passaggio dalla solidificazione alla dissoluzione del mondo. Questa intesa come corrosione di quella che, a sua volta, era intervenuta a precludere l’apertura verso il cielo e a stroncare la verticalità.
In questa particolare fase esistono soltanto tre tipi d’uomo: l’anarca, l’anarchico e il comunista.
Sia chiaro che parlo di antropologia, di modo di sentire, di riflessi nella vita, non d’ideologia politica.

La mentalità comunista si fonda sull’intelligenza dell’insetto, cioè l’intelligenza collettiva, di specie.
Si esprime in un particolare modo di riconoscersi tra gli altri, annusandosi, come tendenze e natura; ha un suo linguaggio del corpo e una capacità di comunicazione per vibrazioni, una furbizia viva. Anche il lessico e la formazione delle frasi, il linguaggio, e financo i comportamenti dialettici codificati, le sono impressi nel dna. Questa mentalità prevede il predominio della Società sull’individuo, propugna delle regole che impongano a tutti di comportarsi nello stesso modo, pretende la trasformazione dell’essere umano “per migliorarlo”, rieducandolo o emarginandolo con l’ostracizzazione dal collettivo. L’aspetto repressivo, punitivo, le garba e gode nel piacere dell’altrui espiazione.
Su questa mentalità, l’unica rimasta per una connettività nell’era della dis-socialità e della liquidità, si fondano oggi tutte le soluzioni in campo, qualsiasi sia l’ideologia di facciata che esse hanno assunto nel liberismo. Non ci sono organizzazioni o soluzioni che possano essere definite tali che non rispondano a questa mentalità.

Anarchico è l’individuo disordinato, che non conosce appartenenza o gerarchia. Il liberale è in fondo un anarchico che riconosce le istituzioni solo quando le sono utili.
Abbiamo anarchici sovversivi, insurrezionalisti, che sono stati a lungo alleati/rivali dei comunisti.
Ma abbiamo anarchici istituzionalisti. Gente che ritiene che la sola cosa che conta sia il proprio interesse o il proprio ombelico.
Nella grande marmellata di oggi tutto funziona con la mentalità dei comunisti, e tutte le opposizioni sono anarchiche borghesi. Se la prima pretende di togliere le libertà individuali per la gloria del formicaio, le seconde sono riunite esclusivamente dalla pretesa (oltretutto irrealizzabile) di difendere i propri singoli egoismi ed ignorano la collettività, salvo poi mitizzarla in astrazione.

Anarca invece, come ha perfettamente colto Jünger, è colui il quale non ha paura di camminare da solo nel deserto. È quello che, nella dissoluzione progressiva, la cui formalizzazione universale possiamo far risalire alla Scuola di Francoforte, essendo centrato, non si dissolve.
Non lo fa perché ripara nel bosco. Non nel senso di disertare o di chiudersi in un fortino, ma in quello di far conto su di sé e di darsi liberamente, e non di rifiutare, la legge, la disciplina, la verticalità, che riconosce al di là del tempo e delle contingenze. Non alla classe degli insetti, corrisponde l’anarca: egli è un lupo, un’aquila, un orso.
E attraverserà le paludi della dissoluzione, diventando più forte.

Servirebbe una sintesi espressa da centralità che permetta agli anarchi d’inquadrare gli anarchici e perfino i comunisti e di trarre da loro, malgrado loro, quello che è utile a un popolo (che oggi non c’è) e a una civiltà (che si deve rifondare).
In fondo è quello che riuscì al fascismo. Ai giorni nostri è molto diverso ma non di lì si esce.
Altrimenti assisteremo, giorno dopo giorno, alla disperazione progressiva degli anarchici di qualsiasi colore, mentre la comunistizzazione degli spiriti, delle anime, dei riflessi e delle relazioni sociali progredirà inesorabilmente.
Solo gli anarchi potranno cambiare il dato ma, se non ce la facessero, assisteranno sorridendo al declino di un’umanità terminale che, lamentandosi e agitandosi freneticamente, impazzirà mentre si sgretola.

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