sabato 15 Marzo 2025

Ottant’anni nel segno di Drieu

La coscienza nazionalrivoluzionaria europea dal dopoguerra

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La notte tra il 15 e il 16 marzo a Parigi si dava la morte lo scrittore Pierre Drieu La Rochelle.

Normanno purosangue, dedicò la vita alla consapevolezza della decadenza europea e nel sogno virile del suo riscatto.

Prima del suo gesto, lasciò accanto a sé un biglietto in cui affermava la sua fedeltà all’ideale della collaborazione e riconosceva la vittoria della resistenza, dichiarando che, avendo perso, esigeva la morte.

Per la sua opera di collaborazione, più letteraria che altro, e per la sua interruzione volontaria nel 1943, non rischiava di sicuro la pena capitale e neppure una lunga detenzione, ma preferì comportarsi come un ufficiale che ha perso la guerra e vuole mantenere l’onore.

Nella sua vita, tutto sommato breve, essendosi ucciso a 52 anni, scrisse trentacinque libri, molti di successo, da uno di questi, Le feu follet (Il fuoco fatuo), verrà tratto un film nel dopoguerra, ad opera di Louis Malle, nel 1963.

Altri film successivi verranno ispirati da suoi romanzi. Si tratta di Une femme à sa fenêtre (1976) e La Voix (1992), entrambi di Pierre Granier-Deferre, e Oslo (2012), di Joachim Trier.

Il tema principale di Drieu

che è il fil rouge de Le feu follet, è stato sempre la morte ed egli ha espresso costantemente una pulsione al suicidio: ma al suicidio catartico, per elevarsi dalle rovine, non certo al suicidio disperato, essendo egli un uomo di buon gusto, di successo e anche il conquistatore elegante di numerose donne bellissime che lo hanno sempre adorato.

Il suo tema principale è stato la morte, non solo la propria: la morte della civiltà. E con essa la forza dell’uomo di accettarla, ma anche la rigenerazione. Per questo si schierò sempre con le forze vitali che potessero dare una scossa virile alla società.

Già durante la Grande Guerra rimase colpito dall’inettitudine dei comandanti e dalla grandezza dell’intraprendenza dei coraggiosi che ne prendevano il posto. Lo attesta nelle sue memorie La comédie de Charleroi.

Al ritorno da quell’esperienza, sperando di scuotere la società decadente, frequentò gli ambienti ribelli: i surrealisti, i comunisti e i monarchici dell’Action Française.

Il 6 febbraio 1934

le destre nazionali protestavano a Parigi contro gli scandali delle corruzioni parlamentari. Dall’Assemblée Nationale (il Parlamento) si sparò sui manifestanti anche con la mitragliatrice. Ci furono 18 morti e migliaia di feriti.

Esattamente undici anni più tardi sarebbe stato fucilato vicino Parigi lo scrittore Robert Brasillach, imputato di aver collaborato con i tedeschi. “Io penso a voi, morti del 6 febbraio e sarò tra di voi con undici anni di ritardo”. Lo scritto, poco prima dell’alba in cui sarà fucilato, si ritrova nella raccolta La mort en face (La morte in faccia), in cui scrive: “Si dice che il sole e la morte non possono guardarsi in faccia. Ciononostante io ho provato. Non ho niente di uno stoico e fa male essere strappato a ciò che si ama, ma ci ho provato per non lasciare a coloro che mi avrebbero visto o che avrebbero pensato a me, un’immagine che non fosse dignitosa”.

Ebbene, subito dopo il bagno di sangue davanti al Parlamento, ci fu un’altra manifestazione di protesta, l’11 febbraio, stavolta comunista. Non ci furono morti. Ma Drieu La Rochelle maturò la convinzione che i partiti servissero a dividere il popolo e che, se compatto, esso avrebbe potuto cambiare le cose.

E s’impegnò per un’era nuova, basata sulla forza del popolo unito e sul sognare in grande.

Giunse a proporre che venissero distrutte tutte le rovine dell’antichità per non cullarci più sugli allori. E comprese anche che la stessa Francia era superata. D’altronde aveva già maturato questa convinzione in L’Europe contre les patries (L’Europa contro le patrie) del 1931.

Nel 1939 si dichiarava clamorosamente fascista

nel romanzo Gilles, apriva al Parti Populaire Français di Jacques Doriot, ex dirigente comunista passato dalla parte socialnazionale.

Scrisse per la stampa che sosteneva il Governo di Vichy. Per Je suis partout e per la Nouvelle Revue Française di cui è il direttore.

Iniziò a convincersi che non solo i partiti dividono il popolo, ma che i nazionalismi, invece di fondersi in una sola Internazionale, dividono l’Europa rendendola debole.

Nel 1943 con un romanzo ambientato in Sud America, L’homme a cheval (L’uomo a cavallo), egli raccontava il finale meraviglioso di un condottiero rapito dal sogno di costruire una patria più grande e imperiale e poi travolto dall’insuccesso di tanta ambizione che possiamo definire poetica e romantica.

L’anno successivo, nel romanzo Les chiens de paille (I cani di paglia) fu probabilmente il primo in assoluto di parlare dell’avvento del Mondialismo.

Nell’estate del 1943 sospese le sue collaborazioni politiche perché ritenne che non si stesse costruendo davvero l’Europa.

E scrisse una poesia che, nel dopoguerra, rappresenterà il manifesto europeo del neofascismo

Noi siamo uomini d’ oggi.
Noi siamo soli.
Non abbiamo più dei.
Non abbiamo più idee.
Non crediamo né a Gesù Cristo né a Marx.

Bisogna che immediatamente,
subito,
in questo stesso attimo,
costruiamo la torre
della nostra disperazione e del nostro orgoglio.

Con il sudore ed il sangue di tutte le classi
dobbiamo costruire una patria
come non si è mai vista;
compatta come un blocco d’ acciaio,
come una calamita.

Tutta la limatura d’ Europa
vi si aggregherà per amore o per forza.
E allora davanti al blocco della nostra Europa,
l’ Asia, l’ America e l’ Africa
diventeranno polvere.

La notte tra il 15 e il 16 marzo lascerà scritto: “Noi abbiamo giocato, ho perduto: reclamo la morte”.

Il suo avversario Jean-Paul Sartre gli riconoscerà: “Era sincero e lo ha provato!”

Nel dopoguerra sarà il punto di riferimento dell’idea di Nuova Europa dei movimenti nazionalisti rivoluzionari europei

tra i quali spiccheranno le figure del francese Maurice Bardèche, amico e cognato di Robert Brasillach, dell’inglese Oswald Mosley, dell’italiano Filippo Anfuso, seguito poi da Adriano Romualdi e del belga Jean Thiriart.

Tutte le formazioni universitarie della destra radicale saranno ispirate alla sua opera.

Il primo libro di un altro normanno illustre (nato casualmente a Parigi), Jean Mabire, sarà proprio dedicato a lui ed è la più bella opera in assoluto mai scritta sul soggetto: Drieu parmi nous (Drieu tra di noi) uscita nello stesso anno, il 1963, in cui Louis Malle portava sugli schermi il suo romanzo esistenzialista ante litteram.

Jean Mabire avrebbe incarnato per l’intero dopoguerra lo spirito europeo e quello normanno come forse nessun altro scrivendo oltre cento libri, tra romanzi e saggi storici e avrebbe formato almeno due generazioni di giovani militanti.

Ottant’anni dopo

il ricordo di Drieu La Rochelle si è leggermente offuscato. Un po’ perché non vi è vitalismo e men che meno mito tra le forze politiche e un po’ perché essendosi dato la morte e non essendo stato quindi ucciso dal nemico, non si può esercitare, ricordandolo, quel vittimismo sottile e inconsapevole che, purtroppo, è molto presente nelle commemorazioni.

Perché si dimentica sempre che: “gli eroi non vanno pianti, vanno imitati!”

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