Indonesia, pornografia, moralismo e costituzione.
E’ stata respinta per “ragioni tecniche” la prima richiesta di revisione per vizio di costituzionalità della legge anti-pornografia adottata lo scorso ottobre e definita filo-islamica dalle minoranze religiose e da gruppi di intelletuali e artisti dell’Indonesia. La Corte Costituzionale ha dato risposta negativa alla richiesta della ‘Persatuan Masyarakat Hukum Adat Minahasà, un’associazione di avvocati, artisti e studenti del nord del Sulawesi, una parte del paese a prevalenza cristiana. Per l’associazione la legge è contro la Costituzione perché “limita la cultura e le arti indonesiane”. Ma i giudici hanno detto che non possono esaminare la petizione, perché non è chiaro se è stata avanzata da individui o da una associazione con personalità giuridica. Rico Pandeirot, l’avvocato che ha rappresentato l’associazione, ha assicurato che studierà i dettagli e presenterà nuovamente la richiesta entro 14 giorni. Altri gruppi, tra cui uno che risiede nell’isola a maggioranza indù di Bali, stanno lavorando a ricorsi contro la legge. Il testo della norma si basa su una vaga definizione di ‘pornografià e i suoi critici temono che possa portare a interpretazioni troppo ampie e a criminalizzare pratiche culturali delle minoranze etniche e religiose dell’arcipelago, violando la Costituzione. In base alla nuova legge, infatti, anche il disegno di un artista che riproduce un corpo nudo potrebbe essere considerato pornografia. A preoccupare è anche un articolo che permette a gruppi civili di agire per prevenire la diffusione della pornografia. Questo è visto come una porta aperta per i gruppi islamici radicali, già molto attivi nel Paese. In Indonesia, un arcipelago di oltre 17mila isole, vivono 240 milioni di persone esponenti di oltre 45 gruppi etnici e di tutte le maggiori religioni del mondo. Oltre l’85 per cento degli abitanti è di credo musulmano.