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Più che il codice potè la toga

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Schiatta dopo aver atteso per oltre 40 anni le sentenze dei giudici

Aspettava un risarcimento dallo Stato per un processo da lei intentato 45 anni fa, ma mai concluso, contro i suoi parenti. E’ morta, a 94 anni, senza avere nè una sentenza definitiva, nè il rimborso decretato dalla Corte di Appello di Perugia. La storia kafkiana riguarda un’anziana donna di San Gregorio da Sassola, alle porte di Tivoli (Roma). Adesso sul caso la Procura generale della Cassazione ha aperto un’indagine.

La storia a dir poco surreale comincia all’inizio degli anni Settanta, quando la donna ha cinquant’anni e decide di presentare una causa civile contro i suoi parenti per una ricca eredità materna. La donna passa gli anni successivi tra carte bollate, udienze rinviate, giudici sostituiti, avvocati che si avvicendano, codici e leggi che si susseguono negli anni e cambiano le carte in tavola. Senza una sentenza, una decisione, un pronunciamento dei magistrati che ponga la parola fine alla vicenda giudiziaria.

A un certo punto, la donna si stanca di aspettare. E prende la decisione di presentare causa allo Stato italiano. Invoca l’applicazione dell’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, trasferita nella legge 89 del 2001, che punisce pecuniariamente lo Stato per l’eccessiva durata di un processo.

Sembra che sia la mossa giusta. Perché la Corte di appello di Perugia risponde in maniera esemplare e veloce, arrivando subito a una decisione chiara. Il ricorso della donna, patrocinato dagli avvocati Giacinto Canzona e Anna Orecchioni, viene accolto immediatamente, e il ministero della Giustizia condannato a pagare all’anziana 8mila euro, oltre agli interessi legali. La sentenza risale al 10 aprile del 2006.

I legali dicono che il ministero della Giustizia era tenuto a onorare all’istante il debito nei confronti della donna, che avrebbe potuto godersi da viva la meritata vittoria. Neanche questa ultima soddisfazione le è stata concessa. E a nulla sono valsi gli atti di precetto contro l’amministrazione giudiziaria, alla quale sono state pignorate pure le fotocopiatrici.

La donna infine è morta, in seguito a una lunga e invalidante malattia, poco prima di compiere 95 anni. E a questo punto la Procura Generale della Cassazione, appresa la vicenda dai mass media, ha deciso di aprire un’indagine per accertare se sussistono responsabilità degli Uffici Giudiziari preposti oppure del ministero. La Presidenza della Corte di Appello di Roma – concludono i legali – si è immediatamente ed efficacemente attivata per fornire tutte le informazioni e la documentazione. Forse, un po’ troppo tardi.

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