sabato 20 Luglio 2024

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Ma il master bancarottiere ci costerà ancora a tutti in incarichi pubblici e scorte armate

 

Sorride Fini. L’avvocato Giuseppe Consolo, che ormai tale è perché non è più onorevole, si sente gelare. Fa appello al sentimento e precipita però in una gaffe: «Ci sono le cose importanti, Gianfranco. La tua eredità, la strada fatta insieme, le nostre figlie, poi, sono così amiche…». L’attrice Nicoletta Romanov, figlia di Consolo è, infatti, amica di Elisabetta Tulliani. Che però è la moglie di Fini, anzi, la compagna, meglio ancora: la madre delle bimbe del presidente Fini.
Il requiem del leader è come una marcetta che se lo porta via. Fa ticchete tacchete con la biro, Gianfranco Fini. È seduto. C’è quindi questa marcetta, non c’è la maestosità del crollo. Dal televisore, tenuto senza audio, si vedono le tabelle che sono lapidi. E c’è questo ticchete tacchete che però diventa puffete paffete fatto con la sigaretta mulinata tra le dita. Nessuno parla e in quell’ufficio pure la cicca di carta e catrame fa rumore.
Sorride, dunque. Solo chi lo conosce bene, per esempio Francesco Cosimo Proietti già deputato, ma adesso no, conosce il vero avviso. Ma anche Roberto Menia, ridotto al rango di ex parlamentare, capisce che non è proprio quella smorfia il segnale del peggio. Piuttosto l’eruzione cutanea che gli si forma sul collo.
Temerario, lo affronta: «Non ci dovevi portare a questo punto». E il punto, magari fermo alla data del 14 dicembre 2010, ultima rottura con Silvio Berlusconi, è un domandare che rimbomba da troppo tempo, ormai. Come le tre precise domande di Tomaso Staiti 1) «Come hai potuto stare con Berlusconi per quindici anni?», a cui così risponde: «Posti e potere». 2) «Perché non ti sei dimesso da presidente della Camera per poi fare politica davvero?» «Per proteggere chi mi ha seguito».
Alla domanda numero 3 («Come hai pensato di metterti sotto tutela di Pierferdinando Casini?»), risponde: «Quando piove serve l’ombrello». Ecco, sotto l’orecchio sinistro, c’è il segnale: un gonfiore sotto la guancia. Succede sempre quando non dorme, quando non fa immersioni o quando perde le elezioni.
Può guarire dal fascismo, Fini, ma dal berlusconismo, no. Nulla gli è risparmiato, tutto esce sui giornali. Di come, per esempio, fratello minore di Berlusconi, non potendo tributare compravendita in denaro a Sergio De Gregorio per aver fatto cadere il Governo Prodi, Fini offre una promessa: «Alla prossima ti facciamo ministro della Difesa».
Fini continuerà a fare politica. Fabrizio Alfano, il suo collaboratore, gli prospetta i cosiddetti «decreti», ovvero, un ufficio ancora per dieci anni; la scorta dello scandalo che sarà ridotta al rango di tutela; la macchina con cui potrà avere modo di andare alla New school, la scuola inglese, la migliore, per salutare le figlie e poi, non ultimo (gli spiega ancora Alfano) un «decreto» per un proprio addetto stampa: «Lavorerò con te». Fini ci tiene a farsi vedere nella casa di Val Cannuta, all’Aurelio, proprio per non dare adito ad illazioni sulla sua vita coniugale.
È la caduta di una deità minore che non eccita né commuove l’Italia abituata a ben altre rovine. Sorge il sole e – come gli ha raccomandato Staffelli di Striscia la Notizia – porta a spasso il Tapiro. Dovrebbe proprio tenerselo caro, quel feticcio. Anche a Gli Sgommati il suo pupazzo non è più in cartellone. Ticchete, tacchete.

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