Inserito un microchip in seicento storioni lasciati in libertà per monitorarne la storia giorno per giorno. Apparentemente per ragioni nobili, ma l’inevitabile conclusione…
MILANO – Seicento storioni con qualcosa in più. Un microchip che ne monitorerà la storia giorno per giorno. Sono quelli liberati dall’Ersaf (Ente regionale per i servizi all’agricoltura e alle foreste della Lombardia) nelle acque dell’Adda a Formigara (Cremona), e nella lanca del Po a Spinadesco. Appartengono alla razza autoctona Cobice, hanno al massimo due anni di vita e misurano non più di 80 cm di lunghezza. PROGETTO – E’ il secondo atto di un progetto che dura da oltre 10 anni, quello del ripopolamento dello storione nei fiumi lombardi, volto a reintrodurre questo antichissimo pesce, che esiste da oltre 200 milioni di anni ed ha un’aspettativa di vita di 60 anni. Ma delle cui abitudini di vita si sa ancora poco. «Nonostante viva da sempre a contatto con l’uomo – spiega Giovanni Arlati, veterinario e responsabile Ersaf del progetto relativo agli storioni – dello storione sono ancora ignote molte cose. I 600 esemplari liberati sono stati marcati con dei veri e propri trasponder posizionati tra la quarta e la quinta vertebra in grado di identificarli e di rivelarci dove sono andati. Nei prossimi anni ci sarà un monitoraggio per ritrovarli e sapere quindi dove sono andati e come sono cresciuti. Gli esemplari liberati sono stati anche geneticamente caratterizzati in modo da poter identificarli anche se il chip per qualche motivo non funzionasse più». Lo storione infatti anche se si riproduce in acque dolci vive solitamente in acque salmastre e quindi non è improbabile che tra qualche anno si scopra che raggiunga anche il mare aperto. Il progetto dell’Ersaf Lombardia in questi anni, già da prima del 1992, anno in cui l’Unione europea ha sancito la protezione assoluta di questo tipo di pesci, è quello di favorirne il ripopolamento con immissioni graduate e controllate.
«Abbiamo immesso nei fiumi lombardi in questi anni oltre 250.000 esemplari – spiega Arlati – ora per un periodo di 5-10 anni provvederemo al monitoraggio, per poi consentire in un futuro una pesca controllata di questi esemplari dalle carni particolarmente prelibate. Al momento però la loro pesca resta assolutamente vietata». L’obiettivo a più lungo termine è quello di riportare lo stato dei fiumi lombardi a quando non erano ancora stati contagiati dall’inquinamento e dagli sbarramenti. Quando anche a Torino un pescatore poteva lanciare la lenza dalla riva del Po e catturare questi straordinari pesci.